Irrazionalismo e politica in Marinetti e nell'avanguardia futurista
§ 1 - Breve storia fra arte, ideologia e politica
1.1. I primi anni (1903-1913). La prima opera di Filippo Tommaso Marinetti, La conquete des etoiles (1902), ispirata al simbolismo francese, era già una trasparente simbologia dello scatenamento delle forze umane protese al dominio dell'infinito. Lo stile era percorso da visioni concitate ed immagini di gusto barocco. Nel 1903, con D'Annunzio intime, avviene il distacco dal sensualismo dannunziano, che annunzia Destruction (1904), il poema lirico improntato ad una crescente tensione espressiva approdante all'urlo liberatorio, allo sfogo violento: è qui che appare la prima anticipazione del gusto e dei motivi futuristi, che trasfigurano l'estenuazione simbolista e il tragicismo decadente in un irrazionale antagonismo verso la realtà.
L'anno successivo Marinetti fonda la rivista internazionale Poesia, a cui collaborano Benelli, Kahn e Verhaeren, Pascoli e Lucini, Gozzano e Palazzeschi. Entra in contatto con Papini e Prezzolini e studia Nietzsche e Sorel, Bergson e D'Annunzio. Ne deriva una filosofia del divenire in cui la violenza è matrice della storia, strumento di distruzione dell'ordine e di affermazione di un sistema di libertà. Il divenire si pone come perpetua possibilità di auto-superamento e dominio della natura[1]. Il fine era ampliare la libertà spirituale e materiale fino all'emancipazione dalla morte con la creazione dell'"uomo artificiale". Il contatto con i socialisti (conosce in questo periodo Turati e la Kulisciof) lo impressiona negativamente per l'anti-individualismo permeato di internazionalismo e pacifismo. Per Marinetti Giustizia, Libertà ed Eguaglianza sono parole che occultano illusoriamente alla folla l'incessante lotta fra gli uomin. In Le roi Bombance (1905) - una tragedia rilevante sotto il profilo formale per gli aspetti avanguardistici, ma contenutisticamente semplicistica - ritrae la delusione del popolo per un capo rivoluzionario divenuto tiranno. Negli anni successivi (1907-1909) pubblica alcune opere che introducono il "paroliberismo" e la tematica della velocità e si avvicina ad ambienti sindacalisti rivoluzionari ed irredentisti (subendo anche il primo arresto).
Come è noto, la data di nascita del futurismo è il 20 Febbraio del 1909, allorchè sul Figaro di Parigi esce il Manifesto di fondazione del futurismo, firmato da Marinetti. E' evidente la sensibilità per il momento propagandistico. Quanto allo stile, esso era carico di quel dinamismo violento e anarchico, pulsante dei nuovi ritmi della società moderna, che si intendeva contrapporre all'estenuazione dell'interiorismo decadente e al gusto ottocentesco. Si trattava di introdurre nell'arte il segno della materia e di un inedito attivismo che la ricollegasse alla vita. Il manifesto diventava così un formidabile veicolo di immediatezza espressiva in cui la tempesta di parole non descriveva le realtà, ma le lasciava intuire, le abbozzava. Le innovazioni tipografiche dovevano suggestionare, potenziare la comunicazione. Il lettore andava stordito per poi riattivarlo ad un ritmo incalzante. Era impossibile restare passivi: si poteva accettare o rifiutare.
In Italia il manifesto di fondazione fu pubblicato in Poesia, e distribuito a Milano attraverso migliaia di volantini. Nello stesso anno Marinetti pubblica altri manifesti, fra cui il I° Manifesto politico per le elezioni del 1909 e Uccidiamo il chiaro di luna. Nel primo si faceva professione di nazionalismo, anti-clericalismo, anti-pacifismo (e quindi anti-socialismo e anti-passatismo). Nel secondo si rappresentava un'allegoria dell'anti-romanticismo futurista, inneggiante alla follia creatrice (qui si trovavano le firme di altri artisti che avevano aderito al movimento: da Govoni ad Altomare, da Folgore a Boccioni, da Carrà a Severini a Pratella etc.). Dello stesso anno è Mafarka, le futuriste, in cui il tema anti-romantico e anti-sentimentale (mito della riproduzione senza il concorso della donna e dell'amore) si coniuga - non senza una particolare tensione religiosa - a suggestioni nietzscheane, alla raffigurazione, cioè, dell'esaltazione della Volontà di potenza nella generazione, da parte di un re africano, di una specie di feticcio dalle fattezze di un uccello meccanico. Da allora i manifesti futuristi si succederanno senza posa. Ai nostri fini è degno di nota, ancora, il marinettiano L'uomo moltiplicato e il regno della macchina[2]. Qui il concetto di bellezza veniva sganciato dall'ideale muliebre e associato a quello della macchina. L'eros è, infatti, intorpidimento, mentre la macchina è virile progresso. Il costruttore è padre, il fruitore amante. Anche qui c'è un forte richiamo ad un superomismo permeato di significati mistico-religiosi: l'uomo si potenzia, si prolunga, si moltiplica nella macchina. Egli, addizionato alla macchina - che diviene praticamente un simbolo religioso -, sembra qui celebrare il definitivo trionfo sulla natura nel nome della tecnologia, rilanciando il sogno illuminista[3].
Il 1910 è l'anno che segna l'ampliarsi del campo di attività del movimento, anche mirate ad una ricerca di sempre maggior consenso. Ecco perciò il fiorire delle serate futuriste che aprirono lo scontro fra l'avanguardia e la cultura ufficiale: il gesto pubblicitario marinettiano obbliga lo spettatore a prendere posizione, rompendo l'incanto dell'arte tradizionale in cui il borghese riversa le proprie aspirazioni[4]. Questo era anche il senso della partecipazione alle manifestazioni politiche, dei volantinaggi, dei comizi. Marinetti comprendeva che il suo messaggio avrebbe avuto più probabilità di successo fra i giovani che fra le generazioni più mature e disilluse. Di qui il carattere "giovanilistico" che assunse il movimento[5]. Non era soltanto il ribellismo irredentista, l'appello alla "follia", all'"illogicità" e all'"istinto", il modernismo e il tecnologismo, ad attrarre i più giovani, ma anche la teorizzazione dello scontro generazionale. L'attacco alla tradizione passava per l'antiaccademismo, per il rifiuto della scuola, del professore, del museo[6], che sfocerà, in Papini, in una critica di sapore anarchico alla massificazione del sapere e alle istituzioni funzionali all'ordine sociale voluto dallo Stato[7]. Gioventù diveniva sinonimo di genialità, contrapposta allo spirito imitativo e passatista tipicamente professorale. L'abitudine al rischio e all'audacia dovevano creare il giovane pronto per la guerra.
L'anno successivo è quello del definitivo consolidamento della struttura del movimento e dell'esordio politico. Si assiste ad un' escalation di manifestazioni e serate, con scontri con la forza pubblica costretta spesso ad intervenire: da ricordare ad esempio la rissa con alcuni vociani di fronte alle Giubbe Rosse di Firenze. Un rapporto del prefetto di Milano parla di Marinetti come di un irredentista senza spiccate tendenze politiche, animato da un estremismo volto a dare risalto al proprio futurismo[8]. Al 1911 risale inoltre il secondo manifesto politico di Marinetti, Tripoli italiana, che agitava il vessillo del patriottismo panitaliano, della guerra "igienica" e della prevalenza della nazione sulla libertà[9]. Si aggiungeva qui la componente "modernista" che, con il suo tecnologismo, contrapponeva l'esigenza di una presente grandezza italiana alle memorie romane, particolarmente care a D'Annunzio. Spuntava l'ideale di una guerra non più fra paesi ricchi e poveri ma fra paesi sviluppati e arretrati[10]. Il "genio italico" era chiamato, per Marinetti, a produrre mezzi meccanici moderni ed imbattibili. E la strada qual'era? Liberare l'Italia dalla stasi culturale e politica.
Accolse entusiasta la guerra di Libia, come testimoniano alcune lettere conservate alla Fondazione Primo Conti di Fiesole (Fondo Balilla Pratella): il 2/10/1911 scriveva a B. Pratella: "Carissimo Pratella, Parto questa sera per Tripoli dove spero di tirare su qualche testa di turco. Ma sarà difficile!" (Marinetti era infatti corrispondente di guerra del giornale parigino L'intransigeant). Un' altra lettera a Pratella è del 3/1/1912:
(...)Passai due mesi a Tripoli dove ebbi anche il piacere di battermi molte volte, seguendo i plotoni perlustratori all'asfalto della casa araba nell'oasi. Alla fine di un combattimento, in cui ebbi la gioia di veder cadere tre arabi sotto i colpi della mia pistola Mauser, mi fu donata come trofeo, dal tenente che comandava il plotone con cui mi trovavo, la baionetta turca tolta ad un prigioniero(...).
Su Marinetti, - nato in Egitto ed influenzato da Kahn - esercitava un certo fascino anche l'idea dell'Africa, che amava rappresentare attraverso immagini sature di una retorica coloratissima e sfavillante. Nel libro su La battaglia di Tripoli, edito fra il 1911 e il 1912, dominano i temi della guerra, del tecnologismo, del nazionalismo coloniale e dell'esotismo.
Nel 1912-1913 l'influenza del futurismo sulla cultura nazionale si accentua. Oltre all'attacco al clericalismo con Le monoplane du Pape, il leader del movimento cerca di diffondere il proprio messaggio all'estero con conferenze in alcune città europee. Nel Maggio del 1912 viene pubblicata la prima antologia dei poeti futuristi (fra cui, tra gli altri, Palazzeschi, Govoni, Folgore, Altomare) in cui era compreso il Manifesto tecnico della letteratura futurista con annesso il supplemento Risposta alle obiezioni. In questo manifesto c'erano già anticipazioni del "paroliberismo". Lo scopo era di sostituire al consueto ordine letterario un "disordine organizzato". A differenza che nel surrealismo e nel dadaismo, perciò, restava un principio di ordine, un elemento cosciente. Inoltre, la proposta futurista, pur volgendosi contro la tradizione, non sembrava del tutto esente da una forma di dogmatismo. E tuttavia emergevano degli elementi stilisticamente rivoluzionari, dalla declamazione alla sottolineatura della visualità anche tramite l'attenzione per l'elemento tipografico, che non era più soltanto forma ma anche contenuto: la fruizione avveniva soprattutto attraverso i sensi, stimolati dal rumore, dall'odore, dal peso[11]. La parola veniva riscattata dall'astratta purezza simbolista e calata nella vita. Non si trattava più di creare sofisticate analogie, ma di sorprendere e meravigliare il lettore. Inizialmente era proprio Giovanni Papini a denunciare nel tentativo futurista la possibilità di sostituire l'arte come attività trasformatrice del reale con la realtà nuda e cruda[12].
Con questo nuovo stile si apriva la possibilità, inoltre, di inedite interferenze fra scrittura (pervasa di elementi grafico-figurativi) e pittura (con componenti verbali): il fine era un'arte "sintetica". E non solo le successive esperienze teatrali e cinematografiche erano funzionali a questo disegno estetico, ma anche, forse, certe teorizzazioni politiche. Nel 1913, col Manifesto politico futurista, il movimento opera una decisiva svolta a destra con una serie di parole d'ordine modernistico-nazionalistiche[13]. Con questo manifesto i futuristi si proiettavano nella campagna interventista, assumendo un ruolo fra i più radicali. Se il loro nazionalismo si differenziva da quello di Rocco e Corradini basato sul modello "prussiano" di disciplina e gerarchia, il loro combattentismo, inteso come eroismo e militarismo tecnologico, sembrava sganciato dai problemi reali del paese e tutto proteso all'azione violenta. Le continue provocazioni antineutraliste e antipacifiste raggiunsero talvolta lo scontro fisico e si trasformarono in vere e proprie spedizioni punitive che anticipavano in qualche modo lo squadrismo fascista. La maggior parte delle attività futuriste di quel periodo, anche le più propriamente artistiche (ma non quelle destinate al ristretto circolo degli addetti ai lavori), risentirono del clima interventista, che si manifestò soprattutto, peraltro, nelle manifestazioni e nelle "serate", occasioni più spiccatamente propagandistiche.
Prima di passare al biennio 1913-1915, che vide l'incontro fra il futurismo milanese e i fiorentini di Lacerba, facciamo alcune prime considerazioni. Il futurismo va inserito fra quelle avanguardie artistiche di cui sono state da altri enucleate alcune ricorrenti caratteristiche[14]: strutturazione in "movimento" e non in "scuola", attivismo, antagonismo (verso il pubblico e/o verso la tradizione), un certo nichilismo e infine l'agonismo inteso come percezione di una catastrofe col conseguente tentativo di trasformarla in miracolo positivo. Questo atteggiamento nasce in campo artistico ma finisce spesso per coinvolgere il settore politico-ideologico. Le avanguardie artistiche diventano quindi delle vere e proprie "visioni del mondo"[15]. Nel movimento marinettiano la fase antagonistica e distruttiva rimane prevalente rispetto a quella positiva. Di contro allo schema "progressista" in cui la tradizione è la tesi, il presente l'antitesi, ed il futuro la sintesi dialettica, il futurismo, come le altre avanguardie, giungeva alla sintesi molto prima di aver formulato l'antitesi e di aver valutato e interiorizzato la tesi. La sintesi diventava completamente indipendente dalla tesi e finiva con l'essere un'idea senza fondamento e basi teoriche. Si trattava di un salto a piedi uniti nel vuoto, una frattura drastica che, per quanto affascinante e vitale a prima vista, era destinata a mettere in luce in breve tempo tutte le sue carenze culturali, normative ed ideologiche.
Va rilevato inoltre che col futurismo veniva rilanciato il mito della tecnologia come motore della storia, come mezzo di dominio del mondo. La macchina era insieme simbolo di modernità e di bellezza: ma la sua adulazione feticistica assumeva connotati grotteschi, precipitando nell' identificazione dell' "uomo con il motore”[16] Al di là della provocazione è possibile riconoscere, in questo brano, il segno dell'alienazione crescente: l'evoluzione verso l'uomo-macchina si può leggere altresì come tentativo disperato dell'animo umano di sfuggire alla morte. Gli stessi concetti di velocità e di guerra sembrano voler opporsi ad un'onnipresente minaccia di morte. La velocità viene infatti sempre contrapposta alla stasi. L'attivismo, la dinamica, la velocità esplosiva dell'azione e del gesto erano descritti come vitalità. La stagnazione, il sentimentalismo, la quiete venivano invece associati alla morte. La lentezza, il ricordo e l'analisi portavano direttamente alla decomposizione. La guerra rappresentava per Marinetti una vera e propria sfida alla morte. Al binomio guerra-morte veniva sostituito quello guerra-vita.
Lo studio del pensiero politico di Marinetti e del futurismo deve tenere sempre conto, d'altronde, che il movimento non esprimeva tanto bisogni di tipo ideologico o politico, ma era soprattutto portatore di un progetto estetico, che affermava risolutamente la superiorità dell'arte sulla politica. Solo la vittoria dell'intuizione e della fantasia poteva trasformare la sfera politico-istituzionale: il fine era di portare l'arte al potere[17]. Del resto Mosse ha opportunamente sottolineato come sia poco utile isolare artificialmente il momento estetico dal contesto politico: è proprio il suo orientamento culturale che ha consentito al futurismo di avere un ruolo nella politica contemporanea[18]. E' proprio perché nacque come movimento estetico che il futurismo riuscì ad introdurre in politica un linguaggio ed una filosofia particolari. L'impegno, fosse esso artistico, politico o militare, doveva essere totale. La politica diventava un modo di esprimersi: non più analisi ma sintesi, non più stasi ma movimento. Mondo culturale e politico venivano perciò violentemente aggrediti e costantemente spiazzati da una serie di iniziative sempre meno teoriche e sempre più tese al mutamento concreto. Il giovanilismo diventava uno strumento di quella lotta politica che, nel suo aspetto più materiale, diveniva fondamentale nell'esperienza futurista. Alla razionalità del progetto politico si sostituiva il gesto, l'azione spontanea. L'aggressività verbale diventava violenza fisica, il discorso politico si trasformava in azione politica, in un inorganico e confuso riferimento a Nietzsche e a Sorel, a Bergson a Darwin e a Bakunin. Tutto era "transizione", non esisteva culmine storico. Lo strumento era la distruzione: necessaria e insostituibile, al fine di guidare e gestire il mutamento storico. E tuttavia – nel tramonto weimariano della capacità egemonica del giolittismo - il futurismo, che si affidava ad una visione fin troppo ottimistica del mutamento storico, si troverà, al termine del conflitto, in una posizione sempre più utopica rispetto all'evolversi della situazione politica. Di fronte ad un politico puro come Mussolini e a un artista carismatico come D'Annunzio, la figura di Marinetti parve perdere gran parte della sua propulsività. E' stato infatti sottolineato che la politica futurista svelava la sua natura di "antipolitica assoluta", destinata ad esaurirsi esclusivamente nella rivoluzione verbale[19].
1.2. Il periodo fiorentino di “Lacerba”. Nel 1913 avviene l'incontro fra il futurismo "storico" - quello "milanese" -, e il gruppo fiorentino di Lacerba, la rivista di Soffici e Papini. Lo stesso Papini spiegò l'evoluzione verso l'adesione al futurismo come passaggio dalla benevola aspettativa alla simpatica difesa e all'affettuosa accettazione.[20] Prima del 1913 il rapporto fra milanesi e fiorentini era oltremodo teso, a causa delle stroncature della Voce di Prezzolini e Soffici. Per Scipio Slataper, ad esempio, nel futurismo non c'era alcun effettivo valore liberatorio, nè alcuna visibile funzione storica[21]. E Soffici accostava il movimento al "reclamismo all'americana", commisto peraltro da una certa "enfasi secentesca"[22]. Sotto accusa non erano tanto le idee del movimento, ma chi le proponeva e come le proponeva. I fiorentini attaccavano la componente arte-vita ma apprezzavano in qualche modo il messaggio di rinnovamento culturale[23]. E' così che, quando Papini e Soffici entrano in crisi con La Voce di Prezzolini e progettano una nuova rivista volta all'arte libera e alla sfogo liberatorio, si configurano le premesse dell'incontro. Partendo da un più solido background culturale e dal clima di una città ancora profondamente legata alla civiltà contadina, i fiorentini aderirono al movimento, ma non furono inglobati: per loro il futurismo era assorbimento e superamento della cultura tradizionale e disprezzo del culto del passato (cioè il "passatismo"), mentre i marinettiani professavano il disprezzo del passato in sé e il culto dell'ignoranza[24]. Se i fiorentini erano votati all'ironia, al lirismo essenziale, i milanesi, sulla scorta di un forte tecnicismo, miravano ad un'arte pura, naturalistica, contraria a tutte le regole estetiche tradizionali. Un'altra accusa che sovente i fiorentini rivolgevano a Marinetti e al suo gruppo era l'eccessiva dogmaticità dei messaggi-manifesti, che riproponevano in modo più severo i tradizionali decaloghi.
Nondimeno, già dai primi numeri di Lacerba (il primo è del gennaio 1913), emergeva chiaramente l'impostazione futurista, con la tendenza ad aprire un varco sia pur moderatamente rivoluzionario, all'interno della cultura ufficiale, considerata arcaica, manieristica, superstiziosa, vecchia e ripetitiva, a cui veniva opposta una spinta libertaria, dinamica, patriottica e nazionalista[25]. A seguito dei primi numeri della rivista Marinetti invitò Papini a partecipare ad una serata futurista e a pronunciare un discorso: così il 21/2/1913, il fiorentino pronuncia il celebre Discorso di Roma, conosciuto anche come Contro Roma e contro Benedetto Croce[26]. Tre gli obiettivi polemici: Roma (come città ecclesiastica, intellettualmente sterile, mantenuta), i cristiani (annegatori dell'individualità in Dio, paurosi di usare la propria intelligenza) e Benedetto Croce (castratore di Hegel, critico letterario ma cattivo scrittore, egemonizzatore della cultura italiana). Secondo Papini, compito dell'Italia era preparare l'avvento di un "uomo nuovo" non bisognoso di consolazioni, che di fronte al nulla e al vuoto aspiri alla creazione e alla poesia libera, oltre ogni professorale contemplazione del passato.
I rapporti fra Firenze e Milano si intensificarono nel corso del 1913, anche se infine il clima politicamente surriscaldato avrebbe influito sui rapporti fra i due leaders. Da un lato c'era stata l'introduzione del suffragio universale con l'avvento diretto delle masse sulla scena pubblica, dall'altro l'apertura del periodo interventista dopo la guerra libica. Per la fine dell'ottobre del 1913 erano fissate le elezioni che rappresentavano l'ultima spiaggia per i liberali e per Giolitti. E' così che mentre i marinettiani - come si è visto - si accingono a stilare il Programma politico futurista, uscì, sul numero 19 di Lacerba dell'1/10/1913, l'articolo papiniano Freghiamoci della politica. Intelligenza e politica, per Papini, erano separate. Se da un lato non era da salvare alcuna delle forze politiche in campo, dall'altro i "poteri forti" rimanevano fuori dai loro confini partitici: chiesa, massoneria, alta finanza, alta industria, casa Savoia, sindacati, grandi quotidiani, politicians di mestiere. Ogni accordo politico è, per Papini, un paravento dietro cui si celano clientelismo affaristico e manipolazioni demagogiche: l'appello era dunque al disimpegno. Marinetti si sentì in dovere di opporre a questo pessimismo una lettera carica di fiducia futurista in un cambiamento prossimo e possibile:
abbiamo letto con piacere la demolizione fortissima che tu hai fatto della politica contemporanea italiana(...)Siamo stati però delusi nel non trovare una seconda parte(...)che dovrebbe contenere le speranze, le fiducie, i voleri di noi futuristi, per purificare, svecchiare, accelerare la coscienza politica italiana(...)No, carissimo Papini: non possiamo fregarci della politica, nè gridarlo come un invito pessimista ai giovani(...). Sono molti, questi; molti e molte migliaia, che ci domandano con angoscia e con fede una direttiva, un grido entusiasta, non soltanto artistico, ma anche politico e nazionale. L'arte è legata alla politica, e per quanto quest'ultima sia ora molto in ribasso in Italia, come del resto in molti altri paesi, la partita è tutt'altro che perduta. A Catania, recentemente, tanti e tanti spiriti ventenni applaudivano freneticamente non me, ma la grande fede che si chiama Futurismo, fede in una prossima rinascenza artistica, in un prossimo primato intellettuale dell'Italia, in una prossima fioritura d'ingegni nuovi, tale da ringiovanire l'arte del mondo. Tra questi adoratori del Futurismo vi sono molti mediocri e imbecilli, ma vi sono anche molte intelligenze vivacissime, molto entusiasmo, un sangue instancabilmente acceso, dei muscoli coraggiosi e fattivi, la nausea per il vecchio, la stanchezza e lo schifo davanti a tutta la vecchia Italia bigotta professorale(...)Il movimento futurista, come spettacolo e come azione feconda, riabilitante ed eccitante, forma un magnifico pendant alla campagna libica, fatta con ordine, precisione, accanimento ed eroismo(...)rimango pieno di fede nell'Italia militare, industriale, artistica e anche politica(...)grande, geniale, prima nel mondo, inesauribilmente ricca di genii[27].
L'azione politica, insomma, si identificava per Marinetti con un rinnovamento globale che non doveva inerire esclusivamente l'aspetto istituzionale. Fedele all'immagine di guida, il fondatore del futurismo credeva fortemente nell'azione educatrice del suo movimento e soprattutto nel ruolo dei capi storici: si trattava di presentare ai giovani idee non deprimenti e pessimistiche, ma eccitanti ed ottimistiche, di svegliarne la volontà e l'entusiasmo che certamente covava dentro di loro.
Proprio in occasione delle elezioni politiche di quell'anno, veniva redatto il Programma politico futurista con cui all'appello astensionista di Papini, Marinetti contrapponeva un'articolata proposta agli elettori. Il manifesto fu peraltro pubblicato su Lacerba e volantinato per le strade di Firenze da Marinetti e Carrà, probabilmente con l'aiuto di Soffici. L'ambiente fiorentino non era dunque insensibile ai richiami marinettiani. Prova ne è altresì l'articolo lacerbiano di Papini del 1/12 (Perché son futurista). Papini rimarcava le esigenze futuriste di cui a suo avviso era pervaso il pragmatismo "fondato sul pensiero del futuro e sulla possibilità di modificare e rinnovare il mondo(...)sull'attesa della creazione del nuovo". Questo articolo rappresentò il momento di maggiore sintonia fra i due gruppi. Papini difendeva Marinetti dalle accuse di megalomania, il futurismo da quella di ciarlatanismo e ne ribadiva la valenza creativa ed eversiva. E' difficile dire quanto la lettera di Marinetti abbia influito sulla trasformazione dello stroncatore per antonomasia in un così munifico tessitore di elogi: certo è che Papini non si limitava ad apprezzare l'aspetto artistico del movimento, ma accoglieva larga parte del fervore marinettiano e il suo attivismo rivolto ad un impegno politico votato al cambiamento.
Ma questo articolo precedeva l'inizio di una lenta rottura. Per tutto il 1913 la vocazione lacerbiana alla critica pungente, ereditata dalla Voce, era stata messa in ombra dall'entusiasmo contagioso per una comune volontà di rinnovamento, unita alla sintonia su alcune idee chiave come l'elitarismo, il nazionalismo, l'individualismo (ma subordinato alla nazione), l'embrionale interventismo: ma al primo vero confronto contenutistico sarebbero venuti fuori di colpo i contrasti. Nel 1914 emergeva già un crescente disagio caratterizzato da un intensificarsi delle polemiche. Iniziò Papini con l'articolo Il cerchio si chiude[28], che non intendeva operare una frattura ma aprire una fase dialettica nel movimento[29]. Papini invitava i futuristi a guardarsi dai pericoli di un'arte che aderiva troppo alla realtà, regrediva ad una sensibilità primitiva in cui si dissolveva l'elemento noetico, concettuale (ecco la metafora della chiusura del cerchio). I toni concilianti di Papini non impedirono un'aspra risposta di Boccioni (Marinetti era in Russia) con l'articolo Il cerchio non si chiude, pubblicato su Lacerba l'1/3. Il pittore rispondeva a Papini con il rifiuto dell'idea dell'arte come elaborazione della realtà fino al suo dissanguamento, a favore di "opere che siano accertamenti di realtà e soprattutto di nuove realtà, non ripetizione tradizionale di apparenze". La replica di Papini (Cerchi aperti)[30], a sua volta indurito, segnò la vera e propria fase dissociativa di Lacerba dal futurismo ufficiale: Papini avverte nella censura boccioniana l'emergere di un dogmatismo e fanatismo non coerente con lo spirito rivoluzionario pervaso di spregiudicatezza e originalità e spiegava che sua intenzione non era contrastare il futurismo ma "offrire un'occasione a qualcuno dei" suoi "amici di precisare, spiegare, discutere un punto importante delle ricerche artistiche modernissime". Da quel momento in poi Papini non perse occasione per attaccare Marinetti, che, dal canto suo, cercò di non alimentare la polemica[31]. La Grande Guerra, intanto, incombeva, e Lacerba abbandonava la connotazione artistico-letteraria per farsi rivista politica interventista (Agosto 1914).
Ed è a cavallo fra il 1914 e il 1915 che avviene il definitivo strappo, con due articoli lacerbiani: Lacerba, il futurismo e Lacerba di Papini e Soffici sul numero del 15/12/1914 e Futurismo e marinettismo di Papini, Soffici e Palazzeschi del 14/2/1915. Nel primo si rimarcava come i futuristi avessero trovato nei lacerbiani un appoggio intellettuale che riusciva "a tradurre in idee chiare(...)le confuse aspirazioni". Marinetti stringeva la letteratura nelle "parole in libertà", in cui i fiorentini vedevano "certe rifritture descrittive all'antica grossolanamente mascherate coi nuovi trucchi di stampa". Veniva inoltre stigmatizzato "il carattere autoritario, accentratore, formale e religioso del Futurismo". Non c'era una sconfessione degli aspetti ritenuti vitali del futurismo ma una forte affermazione di autonomia dal movimento marinettiano. E' evidente, al di là di tutto, la lotta fra i due gruppi per la direzione del futurismo italiano. Nel secondo degli articoli prima citati, gli autori cercarono di schematizzare la differenza fra il loro futurismo e quello che definivano "marinettismo", attraverso due quadri sintetici che riportiamo di seguito, tenendo conto che il primo termine di ogni coppia oppositiva è attribuito ai fiorentini, il secondo ai milanesi: per quanto riguarda le TENDENZE E TEORIE:
Supercultura-Ignoranza/ Assorbimento e superamento della cultura-culto dell'ignoranza/ Disprezzo del culto del passato-Disprezzo del passato/ Immagini in libertà-Parole in libertà/ Lirismo essenziale-Naturalismo descrittivo/ Sensibilità nuova-Tecnicismo nuovo/ Acutezza-semplicismo/ Originalità-Stranezza formale/ Ironia-Profetismo, serietà/ Clownismo, funambolismo-Goliardismo propagandista/ Allegria artificiale-Orttimismo messianico/ Raffinatezza, rarità- Pubblicolatria, neofitismo/ Aristocrazia-imperialismo umanitario/ Passione della libertà-Solidarietà, disciplina/ Combattività-militarismo/ Patriottismo-Sciovinismo/ Antireligiosismo integrale-religiosità laica/ Amoralismo-moralismo/ Libertà sessuale-disprezzo della donna/ Latinità-Americanismo, germanismo.
mentre, per quanto attiene ai PRECURSORI, scrivevano:
Voltaire-Rousseau/ Baudelaire-Victor Hugo/ Leopardi-Zola/ Mallarmè-Verhaeren/ Rimbaud-Renè Ghil/ Laforgue-Gustave Kahn/ Stendhal-Paul Adam/ Tristan Corbière-Nicolas Beaudouin/ Nietzsche-D'Annunzio/ James-Mario Morasso/ Courbet-Delacroix/ Cèzanne-Rodin/ Rosso-Segantini/ Renoir-Signac/Matisse-De Groux.
Questo fu l'ultimo atto di un dialogo durato un biennio.
Gramsci, nel 1922, rispondendo a Trockij che gli aveva chiesto informazioni sul futurismo italiano, si soffermava sull'esperienza di Lacerba, sottolineando come prima della guerra fosse molto popolare fra gli operai[32]. Colpisce la presenza di questo interesse operaio per una rivista che non doveva riuscire di facile lettura a un non letterato. E' stato ricordato[33] a questo proposito come il futurismo esaltasse ottimisticamente, negli operai, la fiducia per un'arte accessibile a tutti. La rivoluzione estetica, secondo molti ordinovisti, poteva addirittura servire alla formazione di una nuova cultura veramente proletaria e veramente rivoluzionaria. Nel pensiero gramsciano c'era perciò una forte attenzione per la componente nichilista, seppure limitata alla sfera delle innovazioni formali[34], in un periodo (1913-1915) in cui era interessato alle teorie di Bergson, a cui si rifacevano tutte le avanguardie, dal cubismo al surrealismo, dal fauvismo al futurismo. Gramsci tuttavia denunciava sia l'assenza di una pars construens che di una vocazione nazional-popolare: l'orizzonte era quello di un elitarismo piccolo-borghese e di un " 'apoliticismo' intimo, verniciato di rettorica nazionale verbosa"[35].
Inesistente la componente sociale (eccetto che in Boccioni oppure nei Remondino o Paladini), l'estetismo futurista perseguì, in ultima analisi, il trionfo dell'arte e il nazionalismo attraverso l'attivismo e la mobilitazione dei giovani e dell'élite di artisti. Lo sfocio era quindi l'idea di una guerra volta a celebrare la grandezza nazionale e l'eroica azione futurista. Alla Nazione andavano sacrificate tutte le libertà e nella Nazione si perdevano tutte le distinzioni sociali; l'operaio o il contadino diventavano soggetti futuristi solo in quanto si incarnavano nella figura del soldato coraggioso: essi erano mezzi e non destinatari del programma politico futurista. L'utopia della felicità universale era volentieri lasciata ai socialisti, ogni conflitto sociale sfumava di fronte a quello fra passatisti e futuristi: il sogno vagheggiato era un mondo guidato da pochi artisti che avrebbero garantito il primato della genialità italica, la consolazione e la serenità, ma non il benessere economico[36]. Marinetti disprezzava la massa, criticava l'anonimità e la credulità della folla, riconoscendo all'individuo, indipendentemente dalla classe di appartenenza e dalla formazione culturale, la possibilità di emergere in virtù delle proprie capacità. Il suo individualismo si opponeva perciò alle ideologie democratiche che favorivano il conformismo, annullavano la creatività e la qualità artistica in nome di altri principii. Con la guerra alle porte, infine, i progetti di rinnovamento culturale furuno sacrificati alla campagna interventista (anche fra i lacerbiani, tranne un isolato Palazzeschi).
1.3.Gli anni della Grande Guerra. Alle diatribe fra Lacerba e il futurismo si sovvrapposero le polemiche fra neutralisti e interventisti, segnando, forse, uno dei momenti cruciali della storia del futurismo. Il dibattito ideologico si spostava tutto sul versante politico. L'attivismo prevaleva ora sull'elaborazione teorica. I futuristi raccoglievano tutte le tensioni interventiste (irredentismo, nazionalismo, anti-giolittismo, rigenerazione sociale, vantaggi economici etc.) con in più la convinzione che la guerra fosse una "situazione futurista" che potesse esaltare il coraggio, l'eroismo, il vitalismo: si trattava di una vera e propria catarsi che avrebbe dovuto liquidare il passatismo e generare il mondo nuovo all'insegna della fusione fra arte e vita. Le manifestazioni interventiste anticiparono così le forme dello squadrismo fascista ed individuarono i principali nemici nel neutralismo giolittiano e nel pacifismo socialista. Si pensi a idee come il "teatro futurista" volto ad influenzare "guerrescamente" il pubblico[37] o come il "vestito antineutrale" realizzato da Giacomo Balla. Era evidente, cioè, una tendenza a compenetrare messaggio artistico e messaggio politico con un'attenzione all'elemento rèclamistico che denotava una profonda comprensione dei meccanismi psicologici indotti dal messaggio pubblicitario che Mussolini - al di fuori di ogni motivo avanguardista di innovazione artistica - perpetuerà, istituendo un Ministero della Propaganda. Se gli Altomare, i Paladini, i Remondino rifiutarono la politica interventista, Boccioni rimase con Marinetti. E' stato notato come nel periodo bellico l'identificazione fra Marinetti e il futurismo sia stata completa: il gruppo di artisti si muove unitariamente accettando la disciplina del collettivo, con dichiarazioni comuni che risalgono per lo più alla volontà del Capo[38].
Nel 1915 uscì Guerra sola igiene del mondo[39]. Qui Marinetti sottolineava che la guerra stimola la componente illogica e imprevedibile del futurismo, quella che supera costruttivamente la spinta distruttiva. Il fine ulteriore era la nazione futurista. L'unica rivoluzione possibile era la guerra. Le masse assumevano il mero ruolo di "soldati" e le guide quello degli eroi. I futuristi dispiegavano il loro attivismo interventista con particolare violenza, in senso anti-tedesco e anti-austriaco. Dopo manifestazioni e arresti Marinetti partì per il fronte con gli altri, trovando il tempo tuttavia di redigere il manifesto La nuova religione-morale della velocità. Nel 1916 - anno che vide la morte in battaglia di Sant'Elia e quella di Boccioni per una caduta da cavallo in un'esercitazione - nasceva a Firenze l'Italia futurista, che rivendicava la propria discontinuità con Lacerba. Essa da un lato si poneva a servizio della guerra dando molto spazio alle corrispondenze dal fronte, dall'altro conduceva una ricerca artistica già tesa verso il surrealismo. Marinetti collaborò con articoli nazionalisti e bellicisti e con poesie e prose parolibere. In ogni articolo l'esaltazione si univa all'enfasi e alla retorica in forme che anticipano l'oratoria fascista. Le prime pagine della rivista erano dei veri e propri bollettini di guerra che amplificavano la eco dei successi militari e sorvolavano sugli insuccessi.
Nel Maggio del 1917 Marinetti rimane ferito sul fronte goriziano e in ospedale riceve la visita di D'Annunzio. Nel frattempo si sviluppavano tutti i nuovi settori artistici del movimento: dalla cinematografia alla fotografia, al teatro sintetico, alla danza, alla scenografia, in cui si privilegiava la plasticità, il dinamismo, l'azione, forse anche su impulso del clima bellico[40].
Nel 1918, infine, Marinetti fonda il Partito Politico Futurista (il Manifesto-programma del partito politico futurista apparve sull'ultimo numero dell'Italia futurista l'11 Febbraio 1918), con una svolta che intendeva distinguere nettamente l'impegno artistico da quello politico affinchè il messaggio futurista - incompreso dalle masse nelle sue forme specificatamente estetiche - potesse connettessi organicamente con la società italiana[41]. Dal momento che rimaneva ferma l'idea di una separazione fra élite artistico-intellettuale e massa (con la superiorità spirituale della prima sulla seconda), era necessario confrontarsi col fatto che le tecniche artistiche potevano sì svolgere il ruolo di rèclame, ma non certo quello di raccolta del consenso. I messaggi marinettiani diventarono perciò sempre più diretti, immediati e comprensibili ad una massa che diventava un mero mezzo per raggiungere il potere. Se nel Manifesto permanevano alcuni elementi tipici come il violento anticlericalismo, appare rilevante l'inedito abbandono dell'antisocialismo e del bellicismo: si parlava di alleggerire l'esercito in favore di una generalizzata educazione popolare al coraggio e ai valori nazionali. Si parlava di una libera "democrazia futurista", antimonarchica, anticlericale, antineutrale e antipassatista. Una democrazia finalizzata ad un effettivo progresso morale ed economico dei cittadini, fra i quali non veniva privilegiata nessuna classe o gruppo sociale (fatta eccezione per i reduci), secondo le ovvie premesse individualiste. Ogni individuo, infatti, doveva essere libero da ogni costrizione morale, economica, sociale. Si doveva garantire ad ognuno la parità delle condizioni di partenza attraverso una graduale soppressione della famiglia, la lotta all'analfabetismo e soprattutto attraverso un'unica educazione statale per tutti i figli. Si sostituiva la militarizzazione con l'istituzione di un'educazione basata sulla forza fisica, il patriottismo, il coraggio. Si intendeva inoltre eliminare gli studi classici a favore di un'istruzione sempre più tecnica e specialistica. All'abolizione della monarchia doveva corrispondere un'organizzazione statale minima: un governo tecnico, un parlamento ridotto nel numero dei deputati e aperto a tutte le componenti sociali e produttive, la sostituzione del senato con un'Assemblea dei giovani "eccitatori", il suffragio universale e la rappresentanza proporzionale, lo snellimento e la riforma radicale della burocrazia (con l'abolizione del privilegio dell' "immonda anzianità"), una giustizia gratuita e giudici elettivi, una fortissima tassa di successione, un sistema tributario su base progressiva, il sequestro di ampie parti dei profitti di guerra, grandi espropriazioni di tutti i beni riconducibili a enti religiosi e dei terreni incolti. Quanto ai diritti sociali, venivano richiesti dei salari minimi adeguati alle necessità di sussistenza, otto ore lavorative, parità di retribuzione fra uomini e donne; legislazione garantista sui contratti di lavoro, previdenza sociale e pensioni operaie. Si rivendicavano le libertà di sciopero, di riunione, di organizzazione e di stampa, l'abolizione graduale della Polizia e dell'intervento militare nell'ordine pubblico. Il trattamento privilegiato per i reduci e i combattenti prevedeva l'istituzione, a spese della Nazione, di un patrimonio agrario riservato a chi aveva combattuto, agevolazioni pensionistiche e concorsi riservati. Infine, si promuoveva l'industrializzazione e la modernizzazione delle città d'arte, l'eliminazione dell'industria turistica, lo sviluppo della navigazione fluviale, la bonifica delle terre malariche, la nazionalizzazione del patrimonio idrico e minerario, le agevolazioni per l'industria e le cooperative agricole, un freno all'emigrazione e la costruzione di nuove strade e ferrovie.
Marinetti, insomma, era riuscito ad enucleare i problemi sul tappeto (crisi istituzionale, riorganizzazione degli organismi statali, crisi economica, ricostruzione, reinserimento dei reduci), ma le soluzioni prospettate erano contraddittorie. Marinetti non intendeva, infatti, inserirsi all'interno di una politica strutturata, ma aspirava a stravolgere dall'interno il significato e le regole della politica[42]. Bisogna anche aggiungere, tuttavia, che la volontà di rivoluzionare il concetto di politica si è sviluppata in Marinetti gradualmente, probabilmente soltanto dopo la fondazione del partito, che gli recò la misura dello scarto fra le proprie idee e la realtà italiana, che l'avrebbe portato allo scacco e all'abbandono della politica nel 1920. Un'evoluzione in questo senso si ha già nel saggio del 1919 Democrazia futurista. Dinamismo politico e in quello del 1920, Al di là del comunismo. Se infatti nel 1918 tentava la diversificazione tra partito e movimento artistico con un certo iper-organizzativismo programmatico, nel 1919 tornava a invocare il disordine in materia politica e sociale[43] in sintonia con i nuovi ritmi storici e nel 1920 il potere per gli artisti[44]. Nel manifesto del 1918, inoltre, non erano ben chiari i ruoli delle varie componenti sociali (le limitate adesioni al partito, comunque, vennero dal ceto medio-borghese, con vecchi futuristi, scrittori, intellettuali destinati a brillanti carriere nel fascismo, ex-ufficiali allarmati dal socialismo massimalista[45]). In ultima analisi anche l'unica figura sociale di riferimento, il reduce, divenne un simbolo estetico. Dall'estetica della guerra si passava così all'estetismo del reduce di cui si era già avuto in precedenza l'esempio. Leggiamo infatti l'articolo di Marinetti nell'Italia futurista del 15/6/1916, intitolato Donne, dovete preferire i gloriosi mutilati in cui, di questi ultimi, si esaltavano i "baci futuristi", i "figli d'acciaio(...)carichi d'elettricità", la loro "estetica asimmetrica" improntata alla "fusione dell'acciaio e della Carne" come viatico d'immortalità. Qui è evidente la "sindrome necrofila" che Erich Fromm individuava nelle forme di identificazione fra uomo e macchina, in cui l'immortalità è cercata in ciò che è privo di vita[46]. C'era del resto, tuttavia, anche un'importanza "politica" del reducismo. L'essere reduci consentiva di acquistare un carisma maggiore, un crisma di "superiorità" di cui i futuristi stessi, combattenti e feriti, intendevano avvalersi[47]. C'era in ciò, certamente, del social-darwinismo[48].
Le adesioni al partito non furono esaltanti, anche se Marinetti aveva cercato di strutturare e organizzare il partito. Fondò un nuovo giornale, Roma futurista (1° num.: 20 settembre 1918), in ideale continuità con L'Italia futurista che chiudeva i battenti. Lo spostamento a Roma aveva un'importanza strategica: sarebbe stato là che si sarebbero giocate politicamente le sorti del paese. In tal modo le adesioni aumentarono, ma sempre nell'ambito artistico e combattentistico. Molti intellettuali aderivano anche senza condividere le idee del gruppo, attratti dal suo programma aperto, dalla sua struttura non tradizionale. Con la guida di Settimelli, Carli e Marinetti il partito futurista uscì dal suo isolamento avvicinandosi sempre più all'arditismo di Ferruccio Vecchi.
Prima di passare a vedere i rapporti fra il futurismo e il nascente fascismo, notiamo ancora che a livello di movimento in generale non esisteva alcuna gerarchia statutaria. L'adesione al movimento avveniva tramite le relazioni interpersonali (i luoghi: ritrovi privati, caffè etc.) e con l'accettazione delle idee esposte nei manifesti. Talune caratteristiche esoteriche si sviluppavano spontaneamente, ma non erano stabilite a priori attraverso riti, giuramenti o iscrizioni formali. Le figure più celebri assumevano così un ruolo di guida carismatica. Ma se il carisma di Marinetti era forte all'interno del movimento, non lo era altrettanto al di fuori di esso. Quando, fra il 1918 e il 1920, si dovette misurare con D'Annunzio e Mussolini, ebbe la peggio. Egli sapeva catturare consensi con le sue doti oratorie e spettacolari, trovandosi perciò a suo agio a faccia a faccia con gli interlocutori, ma probabilmente non gli giovò l'ostentato e teorizzato antagonismo e disprezzo nei confronti del pubblico. Questo atteggiamento aveva in realtà il fine di rinsaldare l'affiliazione al movimento creando una sorta di zona franca ove tutto era lecito e per pochi. Tale autoisolamento aristocratico non convogliava in politica gli stessi consensi del ristretto ambito dell'èlite artistica. L'adesione delle masse richiedeva una svolta nelle metodologie di propaganda e nel rapporto col pubblico che il movimento non poteva fornire senza contravvenire alle basi su cui era strutturato. Di qui l'idea del Partito Politico Futurista svincolato dal movimento artistico. E tuttavia il problema non era tanto di strategia, quanto di trovare un referente sociale e/o politico nel panorama nazionale. Il tentativo di connessione organica avvenne con l'arditismo e il combattentismo, ma non fu sufficiente, in quanto se i futuristi anticiparono senza dubbio Mussolini in questa direzione (il diciannovismo nacque più dalle idee nazional-futuriste che mussoliniane), fu proprio il fascismo a trarne i maggiori vantaggi nella misura in cui riuscì ad abbinare a questa azione politica delle idee praticabili.
1.4. Il diciannovismo. Vale la pena di ricordare che fu il futurismo ad adottare per primo il nome di "fascio", contrariamente alla professata avversione per l'antico[49]. I primi fasci politici futuristi si formarono nel Dicembre del 1918 in alcune città italiane, quattro mesi prima della riunione di piazza San Sepolcro. Il successo fu immediato e i fasci si moltiplicarono. Il fascio di Milano di Marinetti e Settimelli affermava il connubio fra combattentismo e futurismo, come si vede da questo documento recante la data del 16 Gennaio 1919:
Il fascio futurista, politico, milanese, stasera costituito, dopo aver mandato un saluto solidale ai Fasci Politici Futuristi già funzionanti di Roma, Firenze, Ferrara, Taranto, vota il seguente ordine del giorno: Il fascio futurista politico milanese dichiarandosi recisamente democratico, anticlericale e rivoluzionario decide d'intensificare la lotta contro il nuovo parecchismo rinunciatario e dichiara che questo programma immediato fa parte di un più vasto programma il quale avrà per scopi: 1) La massima valutazione e il massimo rendimento all'esterno e all'interno della nostra grande vittoria 2) La difesa economica di tutti i combattenti e il riconoscimento del loro diritto assoluto a governare l'Italia[50].
Il sodalizio col combattentismo era stato portato avanti da Carli, che dalle colonne di Roma futurista aveva cominciato a lanciare appelli alle varie componenti organizzate degli arditi. C'era da un lato l'esigenza di trovare alleati politici, dall'altra quella di usufruire dei mezzi economici e materiali degli arditi. Nel Dicembre del 1918 Roma futurista annunciava la nascita di una Associazione fra gli arditi d'Italia presieduta da Carli. Essa si rivelerà come il primo nucleo armato dello squadrismo fascista.
A questa intesa crescente fra 1918 e 1919, si aggiunse ben presto Mussolini che, intuendo le enormi possibilità propagandistiche del futurismo e le straordinarie capacità pratiche dell'arditismo, non tardò a stringere alleanza. Come si sa, il 23 marzo del 1919 vengono fondati in Piazza San Sepolcro a Milano i Fasci italiani di combattimento in cui confluivano futuristi, arditi, nazionalisti, dannunziani, e pure ex socialisti ed ex sindacalisti rivoluzionari. In questa nuova struttura Marinetti era la seconda personalità di rilievo dopo Mussolini. Il programma dei Fasci è importante in quanto è la chiave di volta per capire le vere affinità ideologiche tra Marinetti e Mussolini. L'adesione di Marinetti al fascismo si basò esclusivamente su quel programma, a cui egli si richiamò allorchè il fascismo, un anno dopo, opererà la definitiva svolta a destra. Si ricorderà che il programma dei fasci era ultrademocratico, antimonarchico, repubblicano, anticlericale e prevedeva la convocazione di un' Assemblea Costituente. Il documento era influenzato da tre tendenze fondamentali: a) il produttivismo sindacalista di Mussolini b) il programma del partito politico futurista c) il programma della UIL. Politicamente le proposte fasciste ricalcavano quelle marinettiane del 1918, se si eccettua la composizione parlamentare per la quale si rimandava ad una Assemblea Costituente. Dal punto di vista sociale il programma fascista era più “avanzato” di quello futurista, in quanto ad esempio prevedeva la diretta partecipazione dei lavoratori sia al funzionamento, sia alla gestione delle imprese (pubbliche e/o private). Si prevedeva inoltre l'istituzione di una Milizia Nazionale a scopo difensivo e la nazionalizzazione delle fabbriche d'armi ed una politica estera basata sul pacifismo e sul prestigio civile dell'Italia. Infine: tassazione pesantissima sul capitale, sequestro di tutti i beni religiosi e requisizione dell'85% dei profitti di guerra. L'apertura del programma lasciava largo spazio ad alleanze e strategie, non esclusa una propensione verso i socialisti: il camaleontismo ideologico mussoliniano, del resto, è, come si è visto, un'altra caratteristica propria anche del futurismo.
Il conflitto coi socialisti era tuttavia inevitabile ed esplose violentemente con la famigerata battaglia di via Mercati che si concluse con l'incendio della sede dell'Avanti[51]. Nell'aprile del 1919 Ferruccio Vecchi fonda, in casa di Marinetti a Milano, una sezione dell'associazione degli Arditi, che diventava così un centro importante dell'azione fascista. La vicinanza fra Marinetti e Mussolini si faceva del resto sempre più forte, in un clima antiparlamentaristico pervaso dalla paura per il "bolscevismo"[52]. In un quadro politico turbolento che vedeva il socialismo dibattersi nelle sue molteplici contraddizioni, il liberalismo moderato ormai inadeguato a gestire i mutamenti della società, e il popolarismo che stentava a trovare una propria collocazione, si svilupparono sempre più quelle organizzazioni che dello scontro e del metodo aggressivo avevano fatto le loro bandiere. La seconda metà del 1919 fu politicamente e ideologicamente molto intensa per il leader futurista. Nella raccolta di saggi Democrazia politica. Dinamismo futurista emergeva la contraddittorietà di fondo del messaggio marinettiano: alla componente modernizzatrice non corrispondeva una coerente strategia di democratizzazione, stretto com'era fra l'urgenza di demolire la visione collettivista "social-comunista-bolscevica" a vantaggio di un profondo individualismo e l'esigenza di armonizzare la propria filosofia del divenire con le esigenze strutturali ed organizzative. L'approdo era l'estetizzazione del concetto della politica. La guerra - scriveva Marinetti - aveva sfasciato le ideologie tradizionali, cancellata l'idea di una presenza divina nella storia e prodotto la glorificazione della "forza brutale e del diritto compenetrati"[53]. Era la fine, perciò, del diritto classico, quietista, pacifista, equilibratore, a vantaggio di quello del più forte, di colui che riusciva ad interpretare il ritmo cangiante della vita, che univa pragmatismo a fantasia, forza a immaginazione, che abbandonava ogni mollezza (amore puro, poesia etc.) e si lasciava trascinare dai ritmi frenetici della modernità senza più tener conto dei valori morali. Conservatori, "clericali", democratici, nazionalisti, "tradizionali", socialisti interventisti, anarchici e socialisti ufficiali scontavano il disagio di una situazione "militar-rivoluzionaria" che invece i futuristi avevano previsto e compreso fin dal 1909[54]. Razionalità e messianicità, filosofie e religioni - creature della paura per le sofferenze terrene e i castighi dell'aldilà - andavano seppellite per sempre, a vantaggio di un'arte solidale con la vita, con l'azione[55]. Non serve spiegare il non spiegabile, scacciare la paura di ciò che rimane ignoto: in un mondo eracliteo bisogna intuire, vivere con forza ed eroismo, affrontare la realtà senza conoscerla e senza preoccuparsi delle conseguenze, proiettandosi verso il futuro. La sconfitta degli imperi centrali era per Marinetti la sconfitta del liberalismo, del "filosofumo", di quel culturalismo germanofilo e passatista che sembrava incarnarsi soprattutto in Croce[56]. La guerra era stata davvero una catarsi e un'igiene del mondo. La politica stessa era completamente mutata, non aveva più senso parlare di partiti, di istituzioni, forse neppure di politica. Semmai il partito poteva essere il mezzo per gestire il consenso nel periodo di transizione fra la vecchia classe politica e quella nuova degli artisti.
E tuttavia la contraddittorietà del messaggio stava proprio nel fatto che alla tensione destrutturante si accompagnava un sostanziale iper-organizzativismo dello stato futurista. L'idea[57] era la creazione non tanto di una democrazia di massa, quanto di una piccola comunità in cui viene abolita la famiglia, l'educazione dei figli statalizzata e proclamato il libero amore. Tutto ciò per garantire una certa parità delle condizioni di partenza e un'educazione "eroica". Ma anche questa idea di "parità", democratico-individualista, strideva con il richiamo alle élites dominanti, dotate di un diritto naturale alla leadership. Se da un lato si proclamava l'abolizione della Società delle Nazioni (carabiniere internazionale) e la soppressione della polizia e delle carceri, create per anestetizzare l'impulso anti-sistema, il problema della legittimazione del potere non era neppure sfiorato: gli artisti geniali erano aprioristicamente investiti della responsabilità di governare. Inoltre: come effettuare il trapasso politico se non c'era un gruppo sociale di riferimento più vasto degli ex-combattenti? In questa confusione di programmi e deficienza di consenso, l'attivismo futurista finì per essere una di quelle forze di cui Mussolini, con la sua maggiore concretezza, si servì per la propria scalata al potere. Nella seconda metà del 1919 c'era tra i futuristi, tuttavia, anche chi cercava una via d'uscita alternativa a quella mussoliniana. Mario Carli, su “Roma futurista” (13/7)[58], si chiedeva se non fosse il caso, per i "partiti d'avanguardia", di collaborare. Per Carli il nemico di diciannovisti e schieramento socialista-repubblicano, era lo stesso: la classe dirigente al potere, borghese, plutocratica e parlamentarista. La sinistra doveva comprendere che la guerra era stata salutare anche per il proletariato e che i futuristi non erano reazionari: abbattuto il nemico comune avrebbero potuto riprendere la lotta se fosse stato necessario. A questa proposta rispose sulle colonne della stessa rivista Giuseppe Bottai (9/11) col titolo aggressivo di Futurismo contro socialismo. Per Bottai il socialismo era "astrazione filosofica senza possibilità di contatti vitali", un'ideologia da contrastare, inoltre, per la "necessità della diseguaglianza di valori che bisogna esaltare". Al coro si aggiunse Mannarese, futurista di simpatie socialiste[59], che con argomentazioni talvolta di sapore rigorosamente marxista, scriveva che dopo la guerra, essendosi riaccesa più accanitamente la lotta di classe, il futurismo doveva prendere posizione, darsi un "contenuto economico" o tornare esclusivamente all'arte. Schierarsi contro "tutto" il socialismo, contro tutte le conquiste del lavoro - per Mannarese - significava finire inevitabilmente nelle file dei conservatori, anzi dell'estrema destra ("e la violenza del linguaggio, l'entusiasmo (…) i propositi dinamitardi non gioverebbero che a spingerlo ancora più a destra"). Era necessario, insomma, proclamare che i futuristi non erano contro il socialismo, ma contro "gli uomini, i metodi e la filosofia socialista". E tuttavia l'organo del partito futurista era saldamente in mano alla fazione più vicina a Mussolini. A Mannerese rispose perciò Bottai il 21/12 con un articolo intolato "Insisto: futurismo contro socialismo". Secondo Bottai al futurismo non interessava essere "organico" ad una classe sociale, nè lanciare proclami illusori pieni di speranza, ma "creare un'atmosfera spirituale(...)che renda possibile l'attuazione di quel dato ordinamento economico, che nel momento è bene limitarsi a dire desiderabile". Non importava che i messaggi futuristi andassero ai proletari o ai borghesi, alla destra o alla sinistra. Del resto, a suo avviso, Mannarese identificava erroneamente socialismo e proletariato, laddove l'opposizione alla filosofia, all'economia, al diritto, alla morale socialista, non era detto che equivalesse ad un analogo attacco al proletariato. E' cosa vecchia che riforme economiche - continuava il futuro gerarca - siano lanciate ai popoli come panacèa. Marinetti non intervenne nella discussione, anche se va rilevato che in quel periodo era politicamente vicino a Bottai. Ora, va tenuto conto che questo dibattito avvenne in pieno periodo elettorale. Era il primo test del dopo-guerra, in un quadro che contemplava tutte le modificazioni mentali e materiali prodotte dalla conflagrazione: la questione dei trattati di Pace, il problema della spedizione fiumana di D'Annunzio, i nuovi gruppi politici, la nuova legge elettorale. L'adesione di Marinetti e dei futuristi ai Fasci di combattimento è quanto mai decisa ed entusiastica: si legga il discorso di Marinetti al Congresso dei fasci a Firenze, pervaso da un anticlericalismo che alcuni mesi dopo avrebbe costituito uno dei motivi di frattura con Mussolini, teso ai compromessi necessari per conquistare il potere[60]. Nel mese trascorso fra il Congresso e le elezioni del 16/11, gli incontri fra Marinetti e Mussolini diventarono giornalieri. I due si candidarono, rispettivamente, al secondo e al primo posto, nella lista per le amministrative di Milano, che segnarono un secco insuccesso, nonostante l'attivismo della campagna elettorale. A ciò si aggiunse l'arresto del 18/11 - sempre con Mussolini - per la vana proclamazione di uno sciopero generale di protesta con conseguente scontro violento con i socialisti e ulteriore imputazione di attività sovversiva con gli annessi del caso. Questi eventi, se maturarono in Mussolini la svolta realistica e compromissoria che l'avrebbe proiettato al potere, recarono in Marinetti un disincanto dalla politica che trovò espressione in Al di là del comunismo, la sua ultima opera politica, la più lucida e coerente, che avrebbe inizialmente dovuto chiamarsi Al di là del bolscevismo. “Roma futurista”, da giornale fortemente politico divenne un foglio letterario e parolibero e Marinetti sembrò tornare al suo ruolo di ispiratore del movimento artistico all'insegna di un certo progressivo disimpegno politico.
1.5. L'avvento del fascismo. Scorrendo le molte pagine autobiografiche marinettiane, emerge evidente una lacuna che lascia completamente scoperto il periodo che va dal Dicembre del 1919 all'estate del 1920. Si trattava, forse, di una sorta di rimozione per quanto accadde al II congresso dei Fasci di Combattimento. Nel diario è citato l'intervento al Congresso, ma non appaiono nè la dimissione dai Fasci, nè il connesso travaglio interiore.
Col II Congresso dei Fasci, dal 24 al 25 Maggio del 1920, come si sa, Mussolini operò la definitiva rottura a sinistra, chiudendo la fase "diciannovista". Se il futuro Duce era in parte disposto ad accettare gli inviti di Marinetti[61] a tener conto delle esigenze sociali che stavano alla base degli scioperi coevi - e di cui si stava progressivamente disinteressando -, era convinto altresì, ormai, che la Monarchia e il Vaticano fossero istituzioni troppo radicate nel paese per poter pensare di conquistare il potere senza riconoscerle. Le tesi di Marinetti uscirono minoritarie dal Congresso, e così, con Settimelli, Vecchi e Carli, si dimise dai Fasci[62] e si disimpegnò dalla politica. In Al di là del comunismo la sua visione era non a caso inneggiante ad una democrazia improntata all'individualismo anarchico, in cui non c'erano più distinzioni di classe. La piccola borghesia era esaltata come punto di fusione fra borghesia e proletariato. Non più lotta fra le classi, ma fra futuristi e non futuristi. Abolizione del militarismo, delle carceri, del Papato, dei tribunali, della polizia. Criticava ancora il pacifismo illusorio del socialismo e la stasi buracratica dei comunisti. Gli artisti dovevano andare al potere e dato che "ogni paese ha la sua speciale concezione democratica", in Italia "paese colmo di individui e di ingegni, democrazia significa qualità e non quantità!"[63]. Secondo Marinetti, al di là dell'illusione comunista c'era la concreta chance della catarsi offerta dall'arte. Egli sembrava tornare al pessimismo della fase pre-futurista, prefigurando un'arte-"alcool", un'arte-vita-festa come espediente surrogatorio del benessere. E tuttavia, rispetto ad allora, c'è qui la speranza di una rivoluzione spirituale, estetica, "anti-politica", senza il motivo della macchina e con uno stemperarsi della lotta e della violenza[64]. Emergeva, insomma, una filosofia "del piacere" inedita in Marinetti, e fortemente vicina all'estetica di Majakovskij.
Marinetti tornò dunque all'arte, ma senza più quella carica innovatrice di prima - ove si eccettui la teorizzazione del "tattilismo"-, nè il biennio 1920-1922, caratterizzato dal cosiddetto "ritorno all'ordine", era propizio a quello spirito. Dal punto di vista politico si assiste persino ad un avvicinamento al neonato comunismo. Forse già Al di là del comunismo era nato in risposta a qualche avance da sinistra[65]. Abbiamo già detto dell'interesse di Gramsci. Ma c'è anche da segnalare una lettera di Marinetti a Trockij del settembre 1922, nel clima della Russia sovietica in cui l'avanguardia majakovskijana assurgeva ad arte semi-ufficiale del regime. Non a caso nel marzo-aprile 1922 l'Ordine nuovo allestisce una mostra futurista a Torino. I comunisti, in linea con quanto affermato da Zinov'ev al II Congresso dell'Internazionale Comunista (luglio 1920), cercavano il "blocco" con le forze di spirito rivoluzionario, senza peraltro approvare i contenuti ideologici dell'avanguardia[66], ed in particolare la loro esperienza politica più recente. La convergenza non era infatti possibile, e Gramsci stesso se ne rese conto, sottolineando che dopo la guerra il futurismo aveva perso i suoi tratti caratteristici, disperdendosi nelle varie correnti post-belliche, all'insegna del reazionarismo[67].
Dopo non molto tempo, inoltre, Marinetti rientrava nell'orbita del fascismo che diventava regime. Il 25 settembre 1922 (un mese prima della marcia su Roma, e solo tre mesi dopo la mostra torinese), infatti, in un' intervista ad un giornale pugliese, Marinetti si dichiarava "ultrafascista", affermando che l'esperienza politica futurista era da consdierarsi conclusa, o quanto meno, omologabile all'ideologia fascista[68]. Il 1 novembre 1922 Marinetti pubblicava il manifesto Inegualismo e Artecrazia, vero documento di chiusura della sua esperienza politica. Il manifesto venne successivamente ripreso dall'autore in Futurismo e fascismo con il titolo Ad ogni uomo, ogni giorno un mestiere diverso! Inegualismo e Artecrazia[69].
L'adesione di Marinetti al fascismo, insomma, avveniva all'insegna del rifiuto della politica, con la speranza di trovare un terreno fertile per la propria arte. Il sogno era, questa volta, ancora più utopico e illusorio. Mussolini voleva un'arte ed una cultura di Stato massificata e massificante, distante dallo spirito dell'elitario futurismo. Marinetti fu tollerato dal regime, e la sua carica avanguardistica anestetizzata, assorbita dal "ritorno all'ordine". I futuristi passarono dall'anti-dannunzianesimo agli omaggi al poeta-soldato, dal repubblicanesimo ai riconoscimenti alla famiglia reale, dall'anti-tedescofilia all'avallo della politica hitleriana. Quasi per ironia della sorte, Marinetti, l'antiscolastico, l'antiaccademico, si ritrovò nominato, nel 1929, Accademico d'Italia. Egli percorse tutto il ventennio fascista, inclusa l'esperienza repubblichina e morì nelle vicinanze del lago di Como mentre stava scrivendo poemi religiosi.
§2. L'irrazionalismo marinettiano-futurista.
2.1. Carisma, attivismo, antagonismo. Il futurismo fu un "movimento" per due ragioni essenziali: il suo anti-accademismo e rifiuto della "scuola", e il forte esoterismo. Esso muoveva guerra ai professori, professava la chiusura delle scuole e poneva al centro della sua attività gli scritti di tipo didattico-pedagogico, le riviste letterarie, i clubs e i caffè. L'esclusivismo che ne conseguiva portava ad un esoterismo che sconfinava nel settarismo, legato, a sua volta, al riconoscimento di un'autorità spirituale di tipo carismatico (Marinetti). Si possono rilevare tutti i tratti del concetto weberiano di capo carismatico: una leadership che nasce in una situazione di necessità dettata da una crisi in corso, lo scopo di trarre fuori l'uomo comune dalla costrittiva dimensione della routine quotidiana infondendogli entusiasmo e pienezza di senso al fine di rompere la stasi socio-esistenziale. Il capo, intorno a cui si crea un gruppo di potere caratterizzato da legami reciproci di fratellanza e di fedeltà, è fonte esclusiva del diritto[70]. In questo quadro va inserita l'incessante attività pedagogico-eccitatrice di Marinetti, attraverso manifesti, fittissime corrispondenze, riunioni informali nei luoghi più disparati. Le lettere futuriste non erano quasi mai innervate di richiami al privato o di abbandoni affettivi, ma erano tutte tese all'organizzazione, allo scambio di opinioni e di materiali. L'epistolario della "caffeina d'Europa" è caratterizzato da un ottimismo contagioso, da stimolazioni continue e da esortazioni costanti per un impegno sempre maggiore. Il tono (tranne che con Papini) era sempre di tipo paternalistico e talvolta scivolava addirittura nell'autoritarismo: e a lui i futuristi si rivolgevano con timore reverenziale[71]. Ma questo carisma, ovviamente, non si dispiegava all'esterno del movimento stesso.
Quanto all'attivismo, nel futurismo esso presenta caratteristiche peculiari nel panorama delle avanguardie. Marinetti parlava più dell'estetica dell'atto, della bellezza del gesto più che della loro finalità. L'importante era agire, senza tener conto di nessun piano o programma; diventava lecito ogni metodo, anche violento. Il fine era il movimento e il dinamismo in se stessi. La guerra era perciò una "situazione futurista", che esaltava l'azione. Un attivismo, peraltro, sposato al modernismo e al tecnologismo, che trovava compimento nel mito della Macchina. Tutte le innovazioni tecniche (dall'automobile, alle nuove macchine da guerra, fino ai moderni impianti tipografici) divenivano oggetti futuristi in quanto espressione di modernizzazione e di velocità[72]. L'immediatezza, l'istintività, contrapponevano la sintesi a ciò che veniva considerato sterile esercizio di analisi. Il gesto diventava, perciò, estetico, proprio perché era dinamico e sintetico; la stasi dell'analisi era invece la morte, che, come si è detto, si cercava di esorcizzare.
Si trattava, insomma, di un tentativo di ricreare un orizzonte di certezze nel clima europeo di profonda crisi dei fondamenti, che aveva creato depressione ed estenuazione. Sotto accusa era l'intellettualismo classico, a cui veniva contrapposta l'intuizione e l'istinto. L'intuizionismo bergsoniano veniva appunto inteso senza mantenere l'originaria distinzione fra queste due facoltà, generando una sintesi del tutto estranea ad un modello di razionalità. L'automatismo formale ed istintivo - peraltro - non divenne mai totale nel futurismo. La rottura degli schemi tradizionali, con tutti i loro dogmi, veniva seguita infatti da un altrettanto ferrea dogmaticità. All'abbattimento delle regole classiche succedevano altre regole, altri dogmi, diversamente dagli esiti di assoluto automatismo che raggiungerà il surrealismo. Nonostante l'eccessiva rigidità canonica, il futurismo arrivò a quella "immaginazione senza fili" che gli permise di dissociare l'idea dalla figura. Non fu tanto grazie alle metafore o ai simboli, ma soprattutto con l'ausilio delle parole in libertà che Marinetti riuscì ad irrazionalizzare l'arte futurista. La via era quella inaugurata dal simbolismo, nel cui territorio Marinetti mosse i suoi primi passi. L'estetica futurista andava tuttavia al di là: non c'era soltanto l'intuizione, l'automaticità e le immagini-simbolo: ma il tentativo di influenzare tutti i campi del sensibile. L'introduzione del peso, dell'odore, del colore (e poi del tattilismo) aumentavano di molto la valenza formale, percettiva, irrazionale a scapito di quella contenutistica, analitica, razionale. La poliespressività, inoltre, cioè l'arte in tutti i campi ed in tutti i settori, portava il futurismo all'enunciazione e all'esaltazione del principio vita-azione-arte-festa. Era infatti attraverso l'azione, la partecipazione istintiva, che la vita poteva finalmente uscire dalla prigione della routine quotidiana e tradizionale, e diventare definitivamente un'opera d'arte. L'attivismo era insomma una vera e propria filosofia dell'élan vital.
L'antagonismo nei confronti del pubblico nasceva da due esigenze: rinsaldare i vincoli del gruppo ed esaltare lo spirito anarchico. Il gusto dello scandalo, dell'esibizione, dell'eccentricità, favorivano uno scontro da cui, nei fruitori, nasceva o un forte sentimento di avversione o di decisa ripulsa. Si creava così una frattura fra l'élite dei futuristi capeggiata dal capo carismatico e la massa dei critici, aggrediti e vilipesi. L'antagonismo era perciò uno strumento che esaltava l'aspetto esoterico ed estremizzava la rivolta contro il potere. E tuttavia la mobilitazione futurista era socialmente disorganica e perciò limitata, politicamente, all'ambiente artistico-intellettuale. Più che col potere, infatti, il conflitto si apriva con la tradizione. L'affiliazione era dovuta ad affinità elettive e non politico-ideologiche. Anche quando il futurismo si struttura in partito politico, non a caso, prende solo marginalmente in considerazione il problema sociale. Per un movimento con quelle caratteristiche, d'altronde, era condizione necessaria agitare le proprie istanze in un clima politico pluralistico. La propria struttura "leggera" non gli avrebbe permesso di fronteggiare persecuzioni, nè la propria intolleranza verso tutto e tutti gli avrebbe consentito di trovare appoggi e/o coperture influenti. La forza del futurismo stava nell'aggressione e provocazione pubbliche, non adattabili al ruolo di movimento sotterraneo e clandestino. Tanto è vero che dopo il 1922, non avrebbe più avuto ampie possibilità di manovra.
Bisogna dire peraltro che con l'avvento del fascismo il futurismo non aveva già più una forte carica antagonistico-rivoluzionaria, avendo scontato il tipico processo subito dalle avanguardie al momento del loro assorbimento nel panorama culturale nazionale, della loro accettazione come fatto di costume ormai consolidato, della loro riduzione a moda con la conseguente standardizzazione delle opere. Inutilmente Marinetti, rendendosi conto di ciò, cercò di reagire all'omologazione arroccandosi nell'Artecrazia, nella Diseguaglianza etc. Il fascismo rese definitiva una "normalizzazione" che probabilmente sarebbe avvenuta comunque sotto ogni altra forma di regime.
2.2. Nichilismo e agonismo. La proiezione fideistica e messianica verso il futuro era del resto connessa alla negazione di ogni valore del passato, che significava altresì rifiuto di qualsivoglia razionalismo. Era necessario distruggere ogni processo razionalizzatore, ogni analisi. Nè calcoli, nè previsioni venivano fatti sull'esito di tutto ciò: quel che importava era la liberazione dell'arte, della cultura e della politica dal passato, attraverso la distruzione di ogni regola morale, di ogni ripetizione, all'insegna dell'intuizione e dell'immaginazione. Di Nietzsche il futurismo accolse soltanto la parte distruttiva e maniacale. Non c'è prossimità, infatti, fra l'estetica nietzscheana e quella futurista. Marinetti rinnegò Nietzsche nella Guerra sola igiene del mondo rimarcando proprio l'eccesso di elementi classicistici. All'"eterno ritorno" oppose lo slancio infinito verso il futuro. In Nietzsche, del resto, c'era piuttosto un rifiuto della cristallizzazione operata dalla storia, non della storia in quanto tale. Al superuomo Marinetti sostituì l'uomo moltiplicato, l'incrocio fra uomo e macchina, la macchina stessa. Era proprio la macchina, come proiezione dell'uomo, a creare la volontà di potenza futurista. Le possibilità umane potevano essere aumentate grazie alla tecnologia. Si trattava cioè di una visione mistico-religiosa della macchina (vedi La nuova religione morale della velocità).
L'apparente contraddizione fra l'elogio fideistico della tecnologia e il rifiuto della razionalità si comprende meglio se si considerano le analogie col pensiero bergsoniano. Nel 1915 Marinetti scriveva di essere con Bergson dell'idea che la vita vada oltre l'intelligenza. Secondo lui non si poteva intuire il futuro se non aderendo alla vita: da ciò l'amore per l'azione[73]. Già nel 1912 aveva sostenuto, del resto, che intuizione e intelligenza non costituivano due ambiti nettamente separati. Per intuizione egli intendeva uno "stato del pensiero quasi interamente intuitivo e incosciente", per intelligenza, "uno stato del pensiero quasi interamente intellettivo e volontario". Più che un rifiuto dell'intelligenza c'era infatti una sua subordinazione all'istinto, all'intuizione creatrice. Marinetti coglieva bene il senso del concetto bergsoniano di durata[74]. Il paroliberismo, il tattilismo ed altre componenti estetiche di questo tipo lo testimoniano. L'immaginazione senza fili implicava la soggettività relativa al concetto di durata, che rappresentava il fulcro delle sensazioni volte all' èlan vital. Forse, tuttavia, in Marinetti mancava il nesso di continuità bergsoniano dato dalla memoria. Il nichilismo futurista non contemplava nessun rapporto col passato o con l'esperienza. La creazione era proiettata esclusivamente al futuro, dove soltanto trovava modo di superarsi dialetticamente. La tabula rasa era infatti limitata al passato: nel momento in cui l'ideale futurista fosse riuscito a prevalere, allora il patrimonio storico del movimento non andava rifiutato, bensì superato. La memoria era limitata all'esperienza futurista.
Come ogni avanguardia, il futurismo percepiva un senso di catastrofe: tutto assumeva un aspetto tragico, il tempo diventava buio, dominato dallo spettro della morte e della disgregazione. L'artista intuiva di vivere in una civiltà destinata al fallimento, in continuo pericolo di estinzione, in preda all'impotenza. Era qui che doveva nascere il rifiuto della logica decadente: attraverso l'impegno, la tensione agonica, era necessario superare la stasi, respingere l'idea spengleriana del tramonto e abbandonare il culto di ciò che si era stati. Non a caso l'esaltazione del genio italico, della sua superiorità si accompagnava alla denuncia della coeva passività, contrassegnata dalla logica del museo, della pratica celebrativa, dell'accademismo. L'esaltazione nazionalistica, insomma, si legava alla deprecazione della decadenza presente come stimolo del rinnovamento, della rinascita, o, meglio, della nuova nascita. Del passato doveva rimanere solo quel primato di genialità sancito a-priori: da rifiutare era la vecchia classe politica e il suo metodo. Tutto il potere doveva essere sostituito, anche quello dei maestri, dei professori, dei filosofi, con la loro razionalità: l'arte soltanto doveva governare. E per giungere a ciò era necessaria la spinta agonica, lo slancio vitalistico. Solo attraverso questa tensione crescente, questo pathos era possibile trasformare la catastrofe in miracolo. A questo punto nasceva perciò l'impegno, l'eroismo, l'arte-vita. La guerra era l'occasione unica per distruggere la tradizione ed inaugurare una nuova sensibilità. Una rivoluzione spirituale più che politico-sociale. L'impegno del futurista in questa lotta, perciò, doveva essere massimo, e diventava eroismo, sfida al dolore e alla morte.
Un altro autore che ebbe una forte influenza sul futurismo fu del resto George Sorel. L'undicesimo punto del Manifesto tecnico della letteratura futurista, parlava di "grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa"[75]. Marinetti condivideva l'idea soreliana della violenza come matrice della storia, come strumento necessario e indispensabile per rompere l'ordine costituito e giungere ad un sistema di libertà. E infatti a Milano, negli anni 1909-1910, vi fu un avvicinamento fra Marinetti e gli ambienti del sindacalismo rivoluzionario, voluto proprio dal leader del futurismo. Nonostante i contrasti sui problemi sociali Marinetti lanciò il manifesto I nostri nemici comuni[76], nel quale cercava un sodalizio con i soreliani per combattere il comune nemico. E tuttavia il carattere estetico e non sociale, attivistico e guerrafondaio del rivoluzionarismo marinettiano impediva l'accordo politico. Per i soreliani la massa era sì uno strumento, ma anche - e principalmente - un fine (anzi, il fine). Marinetti la considerava soltanto un mezzo. Il concetto soreliano di violenza restò nondimeno un punto fermo nella formazione marinettiana. Sempre nel 1910 il poeta tenne a Napoli un discorso su La bellezza e la necessità della violenza, esattamente due anni dopo l'uscita delle Reflexions soreliane. Per lui la violenza rimase sempre qualcosa di mistico: la violenza attivistica diventava lo strumento necessario per combattere il concetto di politica basato sull'affarismo, la corruzione, il "parlamentarismo". Essa aveva inoltre un fine entusiastico e di stimolo, attraverso cui l'azione diventava vera e propria partecipazione fisica, esaltante e vitalistica. La violenza implicava perciò il coraggio, il rischio e il sacrificio della propria vita, che se però in Sorel si finalizzava ad un preciso disegno politico-sociale, in Marinetti restava confinata nell'ambito formale estetico e spirituale.
2.3. Il tuffo nell'irrazionale. Il tecnicismo e il mito della macchina rientravano perciò in questo quadro di cambiamento della sensibilità di cui l'automobile era il simbolo che, se da un lato rappresentava la virilità, la forza, l'erotismo, la sconfitta dell'amore mollemente sentimentale e della morte, dall'altra rivelava altresì la spinta verso il futuro in tutta la sua irrazionalità.
Quanto al primo motivo, da Mafarka all' Uomo moltiplicato, dalle macchine belliche all'uomo dalle parti intercambiabili, la macchina era uno strumento che poteva sia migliorare le condizioni materiali della vita, sia sconfiggere la paura dell'ignoto e della morte. Si trattava di un vero e proprio oggetto sessuale con cui era consentito all'uomo di procreare senza l'ausilio della donna, sfuggendo così all'estenuante sentimentalismo e aumentando la propria potenza sulla natura. Come il Superuomo nietzscheano, il mito dell'autoriproduzione segna qui il trionfo della tecnica.
La seconda interpretazione simbolica della macchina non era esplicita in Marinetti. Nel Manifesto di fondazione del 1909 c'era, tuttavia, un passaggio illuminante a riguardo:
E noi correvamo schiacciando sulle soglie delle case i cani da guardia che si arrotondavano, sotto i nostri pneumatici scottanti, come solini sotto il ferro da stirare. La Morte, addomesticata, mi sorpassava ad ogni svolto, per volgermi la zampa con grazia, e a quando a quando si stendeva a terra con un rumore di mascelle stridenti, mandandomi, da ogni pozzanghera, sguardi vellutati e carezzevoli (…) Usciamo dalla saggezza come da un orribile guscio, e gettiamoci, come frutti pimentati d'orgoglio, entro la bocca immensa e torta del vento!...Diamoci in pasto all'Ignoto, non già per disperazione, ma soltanto per colmare i profondi pozzi dell'Assurdo! (…) Avevo appena pronunciate queste parole, quando girai bruscamente su me stesso, con la stessa ebrietà folle dei cani che vogliono mordersi la coda, ed ecco ad un tratto venirmi incontro due ciclisti, che mi diedero torto, titubando davanti a me come due ragionamenti, entrambi persuasivi e nondimeno contraddittori. Il loro stupido dilemma discuteva sul mio terreno (…) Che noia! (…) Tagliai corto, e, pel disgusto, mi scaraventai colle ruote all'aria in un fossato (…) Oh! materno fossato, quasi pieno d'acqua fangosa! Bel fossato d'officina! Io gustai avidamente la tua melma fortificante, che mi ricordò la santa mammella nera della mia nutrice sudanese (…) Quando mi sollevai - cencio e puzzolente - di sotto la mia macchina capovolta, io mi sentii attraversare il cuore, deliziosamente, dal ferro arroventato della gioia! (…) Una folla di pescatori armati di lenza e naturalisti podagrosi tumultuava già intorno al prodigio. Con una cura paziente e meticolosa, quella gente dispose alte armature ed enormi reti di ferro per pescare il mio automobile, simile ad un gran pescecane arenato. La macchina emerse lentamente dal fosso, abbandonando nel fondo, come squame, la sua pesante carrozzeria di buonsenso e le sue morbide imbottiture di comodità"[77].
E' stato osservato[78] come l'uscita volontaria di strada rappresenti la fuga nell'irrazionale. I due ciclisti simboleggiano la razionalità "persuasiva e nondimeno contraddittoria", noiosa e lenta. Il tuffo nel fossato (l'irrazionale) è una liberazione, l'acqua fangosa un tonico fortificante capace di provocare sensazioni deliziose di gioia, ma anche un ritorno all'infanzia (le mammelle della nutrice). Ma è a nostro avviso importante soprattutto il ruolo della macchina. Il tuffo avviene infatti con la macchina, o, meglio, attraverso essa. Il contrasto macchina-bicicletta mette in risalto la maggior potenza del mezzo futurista, capace di correre follemente verso l'Ignoto e di scartare improvvisamente di lato - abbandonando la "retta" strada - per gettarsi nel fossato dell'irrazionale, dove l'uomo comune, razionale, morirebbe, e in cui invece l'uomo futurista trova linfa vitale e fortificante. E' bene non dimenticare che il brano citato fa parte del manifesto di fondazione del futurismo e che pertanto il tuffo aveva un ruolo catartico, iniziatorio: il bagno purificatore che segnava la fine della razionalità e la scoperta del suo contrario. Ecco perciò che in Uccidiamo il chiaro di luna la logica lascia il posto ad un' intuizione auto-sufficiente. La distruzione di Paralisi e Podagra per mano dei pazzi allude appunto al trionfo dell'irrazionalità. E il Manifesto tecnico della letteratura futurista sanciva definitivamente la morte delle strutture logiche tradizionali. Ciò comportava anche l'abbandono del simbolismo in quanto ancora troppo legato alla logica e alla scissione tra forma e contenuto. Si trattava di disaggregare il linguaggio tradizionale per ricomporlo nell'esaltazione della sensazione e dell'intuizione. L'interpretazione non doveva più basarsi su fondamenti analitici, ma sulla sintesi. Non sulle parti, ma sull'insieme. La visualità, l'acusticità etc. dovevano inoltre partecipare del linguaggio sviluppando l'intuizione.
Dopo il 1920 questa rivoluzione artistica assunse tuttavia una valenza consolatoria. In Al di là del comunismo e nel manifesto sull'Inegualismo l'approdo del futurismo era nell'istituzionalizzazione del ruolo lenitivo dell'arte. Dall'ottimismo vitalistico di Uccidiamo il chiaro di luna si passava al pessimismo antropologico. Ciò si spiega col fatto che il primitivo slancio vitalistico ed ottimista trovava nell'elogio della guerra un alimento essenziale. La violenza, l'attivismo, l'impegno, l'eroismo, si concretizzavano nell'ideale bellico. La guerra era la sintesi perfetta del volontarismo futurista ed era anche l'irripetibile occasione per innalzare le bandiere nazionalistiche ed i vessilli della nuova ideologia. L'evento bellico, come il tuffo nel fossato, era la catarsi, la purificazione igienizzante attraverso cui la nazione poteva emanciparsi dal passato. Ma la guerrà finì e non portò gli sconvolgimenti sperati, togliendo ai futuristi un puntello ideologico fondamentale. Alla guerra-rivoluzione si cercò allora di sostituire una rivoluzione più politica. Ciò comportava l'individuazione di un nuovo soggetto da estetizzare, il passaggio da una rivoluzione qualitativa ad una quantitativa e la creazione di una struttura meno elitaria che catturasse il consenso anche al di fuori dell'élite artistica. Quanto al primo punto, essendo più opportuno parlare di estetica della guerra si estetizzò il reduce. Ma non era altro che uno stratagemma, un surrogato che consentiva di continuare a parlare dell'evento bellico. La specie particolare del mutilato, inoltre, incarnava il mito marinettiano dell'uomo bionico, sintesi di uomo e macchina. Circa gli altri due problemi la risposta comportava maggiori contraddizioni. L'irrazionalismo rendeva difficoltoso il passaggio dall'arte alla politica: da una parte c'era l'esigenza di trasformare l'attivismo e il volontarismo in veri e propri strumenti di lotta politica, dall'altra c'era la necessità di strutturarsi in partito per convogliare maggiore consenso. Il passaggio dalla qualità alla quantità contraddiceva però l'individualismo futurista, refrattario a qualsivoglia dottrina sociale. C'era tuttavia una certa aspirazione ad un'ideale democratico, che mal si combinava col disprezzo aristocratico delle masse. Infine, a questo disprezzo si aggiunse quello per la politica in se stessa con l'esigenza di oltrepassare il comunismo per superare i limiti della rivoluzione politica verso un rivolgimento totale, al di là delle illusioni ideologiche. Tornando al pessimismo originario, si affermava così che la risposta doveva essere spirituale, perché le condizioni materiali dell'uomo erano immodificabili, l'esistenza "tormentata e infelice". Il governo doveva essere in mano ai genî in vista di una trasformazione della vita in un'opera d'arte, in una festa consolatoria.
Come abbiamo visto, nel primo dopoguerra la mitologia futurista dovette mutare molti dei suoi simboli. Le idee fasciste del 1919 furono accettate pressochè integralmente da Marinetti e dai futuristi a lui vicini, in quanto rappresentavano, grosso modo, l'espressione stessa dell'ideologia futurista (ed erano forse più 'democratiche' di quelle futuriste del 1918). I miti del primo futurismo erano comunque ampiamente presenti nel programma sansepolcrista (giovinezza, violenza, combattentismo ecc.). La svolta conservatrice di Mussolini del 1920 veniva quindi rifiutata da Marinetti. Non si trattava solo della pregiudiziale monarchica e anticlericale, ma anche del mito fascista della "romanità", che cozzava con l'anti-passatismo, e altresì dell'ostentazione dell'ignoranza e della rozzezza, che se per certi versi andavano incontro all'anti-intellettualismo del movimento, per altri non soddisfacevano il suo culto dell'arte e del genio. Certo che, tuttavia, il fascismo ricalcava, anche dopo la svolta, alcuni tratti dell'ideologia futurista: basti pensare al rapporto ambiguo con le masse (cercate e disprezzate), al culto della violenza (il primo squadrismo fu forse più futurista che fascista), al giovanilismo, al combattentismo, ai riferimenti culturali irrazionalistici. In definitiva, la seconda adesione del futurismo al fascismo (1922-1924) fu una sorta di compromesso che giovò al più forte, e cioè al fascismo. Mussolini riuscì a imbrigliare, omologare, domare il rivoluzionarismo futurista, facendolo diventare poco più che una delle tante voci enfatiche e retoriche del regime.
[1] Cfr. Emilio Gentile, “La politica di Marinetti”, Storia contemporanea, vol. 3, 1976, pp. 415-438. Ma di Gentile, sulla politica futurista, vedi il recente “La nostra sfida alle stelle”. Futuristi in politica, Roma-Bari: Laterza, 2009.
[2] Le tesi di questo manifesto verranno riprese e ampliate dall'autore nel 1916, con il più famoso manifesto La nuova religione morale della velocità, pubblicato sul primo numero di “L'Italia futurista”, 1 Giugno 1916.
[3] Cfr. S. Andreani, Marinetti e l'avanguardia della contestazione, Roma, 1974, p.32.
[4] Ivi, p. 29.
[5] Cfr. Filippo Tommaso Marinetti, Fondazione e manifesto del futurismo, in F.T.Marinetti, I manifesti del futurismo, Milano, 1919, vol.I, p. 10.
[6] Cfr. F.T. Marinetti, Contro i professori (1910), pubblicato nel 1915 in Guerra sola igiene del mondo, ora in Teoria e invenzione futurista, Milano, 1968.
[7] Cfr. Giovanni Papini, “Chiudiamo le scuole”, Lacerba, Vol.2, 1/6/1914.
[8] Cfr. E. Gentile, La politica di Marinetti, op. cit., p. 421.
[9] Cfr. F.T. Marinetti, I manifesti del futurismo, op. cit., pp. 5-6.
[10] Cfr. M. De Micheli, “L'ideologia politica del futurismo”, Controspazio, vol. 4-5, 1971, pp. 46-55.
[11] Cfr. U. Carpi, “Filippo Tommaso Marinetti”, in 10 poeti contemporanei, Firenze, 1980, pp.25-40.
[12] Cfr. G.Papini, Il cerchio si chiude, Lacerba, a. II, n.4, del 15/2/1914.
[13] "la parola ITALIA deve dominare sulla parola LIBERTA' (...) una più grande flotta e un più grande esercito (…) la Guerra, sola igiene del mondo (…) difesa economica e educazione patriottica del proletariato (…) politica estera cinica, astuta e aggressiva - Espansionismo coloniale-Liberismo (…) irredentismo. Panitalianismo (…) Anticlericalismo e antisocialismo (…) Culto del progresso e della velocità, dello sport, della forza fisica, del coraggio temerario, dell'eroismo e del pericolo, contro l'ossessione della cultura, l'insegnamento classico, il museo, la biblioteca e i ruderi (…) Soppressione dell'Accademie e dei Conservatorii (…) Molte scuole pratiche di commercio, industria e agricoltura (…) Molti istituti di educazione fisica (…) Ginnastica quotidiana nelle scuole. Predominio della ginnastica sul libro (…) Un minimo di professori, pochissimi avvocati, pochissimi dottori, moltissimi agricoltori, ingegneri, chimici, meccanici e produttori di affari (…) Esautorazione dei morti, dei vecchi, e degli opportunisti, in favore dei giovani audaci (…) Contro la monumentomania e la ingerenza del Governo in materia d'arte (…) Modernizzazione violenta delle città passatiste (…) Abolizione dell'industria del forestiero, umiliante ed aleatoria". Cfr. Lacerba, a.I, n. 20, del 15/10/1913, ora in F.T. Marinetti, I manifesti del futurismo, op. cit., pp. 54-58.
[14] Cfr. R. Poggioli, Teoria dell'arte d'avanguardia, Bologna, 1962.
[15] Per "visioni del mondo" si intendono quelle ideologie Latu sensu che pretendono di indagare e di fornire le proprie interpretazioni in ogni campo (scienza, filosofia, morale, politica, estetica, etc.). Cfr., su ciò, S.Caruso, La galassia ideologica, Sassari, 1979, pp. 22-31.
[16] “Facilitando e perfezionando uno scambio incessante d'intuizione, di ritmo, d'istinto e di disciplina metallica (…) indovinato dagli spiriti più lucidi (… )Il tipo non umano e meccanico sarà dotato di organi inaspettati (… )Possiamo prevedere sin d'ora uno sviluppo a guisa di prua della sporgenza esterna dello sterno, che sarà tanto più considerevole, inquantochè l'uomo futuro diventerà un sempre migliore aviatore". Cfr. F.T. Marinetti, “L'uomo moltiplicato e il regno della macchina”, in Teoria e invenzione futurista, op. cit., pp. 316 e ss.
[17] Cfr. Articolo del 1920 di F.T. Marinetti, “Al di là del comunismo”, in Teoria e invenzione futurista, op. cit., pp. 473-488.
[18] Cfr. George H. Mosse, “Futurismo e culture politiche in Europa: una prospettiva globale”, in Renzo De Felice (ed.), Futurismo, cultura e politica, Torino, Einaudi, 1988, p. 13.
[19] Cfr. Emilio Gentile, Le origini dell'ideologia fascista (1918-1925), Bari, Laterza, 1975, pp. 191-194.
[20] Cfr. Giovanni Papini, L'esperienza futurista (1913-1914), Firenze, 1919.
[21] Cfr. Scipio Slataper, “Il futurismo”, La Voce, vol.17, 31/3/1910.
[22] Cfr. Ardengo Soffici, “Risposta ai futuristi”, La Voce, vol. 23, 19/5/1910.
[23] Cfr. A.Soffici, “Ancora sul futurismo”, La Voce, vol. 28, 11/7/1912, M. Carrà, “Convergenze e difficoltà fra Milano e Firenze”, in Futurismo a Firenze (1910-1920), Firenze, 1984 pp. 9-16.
[24] Cfr. Papini, Soffici e Palazzeschi, “Futurismo e Marinettismo”, Lacerba, vol. 7, 14/2/1915.
[25] Cfr. G. Papini, “Il significato del futurismo”, Lacerba, n.3, 1/2/1913.
[26] Il discorso fu poi pubblicato sul num.5 di Lacerba, del 1/3/1913.
[27] Questi citati di sopra sono stralci da un autografo su 18 facciate, scritto su carta intestata del "Movimento futurista", conservato nell'Archivio Papini della Fondazione Primo Conti.
[28] Cfr. Lacerba, vol. 4, 15/2/1914.
[29] Così F. Bagatti, Rapporti fra futurismo marinettiano e futurismo fiorentino, in Catalogo Firenze 1984, Futurismo a Firenze (1910-1920), cit., pp. 33-38.
[30] Lacerba, vol. 6, 15/3/1914.
[31] Cfr. La lettera di Marinetti a Severini del 21/3/1914, in A.A.V.V., Archivi del futurismo, cit., p.321.
[32] La lettera di Gramsci fu pubblicata l'8/9/1922 sulla rivista moscovita Literatura i revolucija, ora in Antonio Gramsci, Socialismo e fascismo, Torino, Einaudi, 1966, pp. 527-528. Sulle riflessioni trockijane su futurismo e società moderna cfr. Leon Trockij, “Origine e natura del futurismo italiano”, Literatura i revolucija, Febbraio, 1923, ora in C.G.De Michelis, Il futurismo italiano in Russia, Bari, Laterza, 1973, pp. 205-208.
[33] Cfr. D. Mengozzi, Gramsci e il futurismo (1920-1922), Urbino, 1981.
[34] Nel 1913, scriveva: "l'ultima manifestazione di Marinetti (il manifesto della letteratura futurista del 1912 n.d.r.), che ai più, e forse a qualche suo amico, è sembrata una pagliacciata, la penultima girandola di un esaltato d'ingegno, avrebbe da sola dovuto far pensare e discutere, se da noi ci fosse davvero quell'interesse per le cose artistiche che si è strombazzato, perché essa si ricollega alla nuova tendenza dell'arte odiernissima, dalla musica, alla pittura dei cubisti (…) è da vedere se Marinetti ha dato vera vita artistica a questa sua forma d'espressione, ma chi ha preso sul serio la rivoluzione di Sem Benelli nella tecnica dell'endecasillabo non ha il diritto di ghignare faunescamente sulla prosa del futurista"(cfr. il Corriere universitario, Torino, n. 8, 20/5/1913, firmato con lo pseud. "alfagamma"; ora in Antonio Gramsci, Per la verità. Scritti 1913-1926, a cura di Renzo Martinelli, Roma, 1974, pp. 6-8).
[35] Cfr. A. Gramsci, Quaderno 14-Carattere non nazional-popolare della letteratura italiana (1932-1935), pp. 1669-1670. Ma sulla visione gramsciana del futurismo si veda A.D'Orsi, Il futurismo fra cultura e politica. Reazione o rivoluzione?, Roma, 2009, pp.15-43. Ma tutto il volume di D'Orsi è importante per enucleare gli aspetti che accomunano il futurismo, pur nelle tensioni moderniche e di avanguardia, con le ideologie reazionarie. Dal differenzialismo all'antiegualitarismo all'ealtazione della guerra.
[36] La posizione di Boccioni, all'interno del movimento, era però abbastanza diversa: più radicata nel sociale e più indirizzata a 'sinistra'. Boccioni, come nota anche Giovanni Lista, Arte e politica. Il futurismo di sinistra in Italia, Milano, 1980, pp.30-40 (sull'argomento cfr. anche U.Carpi, Bolscevico immaginista, Napoli, 1981), non desiderava elargire arte e/o cultura al popolo nè tantomeno fare arte per il popolo; egli voleva piuttosto "convocare il popolo per la creazione artistica"; lo stesso Libero Altomare, futurista, ricordava Boccioni da un lato ammiratore del capo del futurismo e simpatizzante del suo programma artistico "pur serbando in politica le proprie convinzioni marxiste"(cfr. L. Altomare, Incontri con Marinetti e il futurismo, Roma, 1954, p. 22). Boccioni si sforzava di coniugare una carica artisticamente innovativa con un programma politico a sfondo sociale. Come Gramsci, Boccioni vedeva nella distruzione delle rigide regole estetiche tradizionali uno spiraglio interessante per la creazione di un'arte popolare: un'arte dove il popolo poteva avere un ruolo creativo e non più solamente fruitivo. All'individualismo di Marinetti (non privo di spunti "democratici", là dove lasciava spazio alla crescita), Boccioni contrapponeva il suo ideale di cultura popolare e classista. Ma questa sua visione era troppo isolata all'interno del movimento (e troppo forte era il peso politico di Marinetti) perché riuscisse a imporsi. L'ideologia futurista seguì perciò i dettami del fondatore del movimento e a Boccioni non restò altro che adeguarsi (a differenza di altri artisti dislocati a sinistra, che si staccarono lentamente, o in qualche caso bruscamente, dal futurismo). Anche la sua posizione sulla guerra divergeva in parte da quella di Marinetti: affine per ciò che riguardava l'esaltazione, la volontà, il coraggio e l'eroismo, sulle finalità il pittore forniva interpretazioni molto meno nazionalistiche. Per Boccioni la Grande Guerra era essenzialmente una guerra anti-austriaca ed era perciò vista come ultimo atto del risorgimento. Mette anche conto di ricordare che molti quadri di Boccioni prendevano ad oggetto la realtà sociale (a lui affini, in tal senso, il Carrà del Funerale dell'anarchico Galli e il G.Balla del periodo pre-futurista), ma uno in particolare, forse il più famoso, affrontava il rapporto fra città, periferia, e lavoro. Il quadro, dipinto fra il 1910 ed il 1911 fu presentato il 30/4/1911 a Milano alla Mostra delle arti libere con il titolo Il lavoro. In seguito Marinetti convinse Boccioni a cambiare il titolo "troppo impegnativo" e propose personalmente un La città che sale; Boccioni accettò. E' successivamente a questo periodo che Boccioni sembra fagocitato nel clima paranazionalista: cfr.A.D'Orsi, op.cit., pp.130-132.
[37] Cfr.il Manifesto di Il teatro futurista sintetico, redatto da Marinetti, Corra e Settimelli nel 1915, in F.T. Marinetti, I manifesti del futurismo, cit., vol. IV, pp. 3-10.
[38] Cfr. E. Santarelli, 1974, Fascismo e neo-fascismo, Roma, 1974.
[39] Cfr. F.T. Marinetti, Teoria e invenzione futurista, cit., pp.235-341.
[40] E' interessante notare come anche in questi anni Gramsci mantiene un certo interesse per i futuristi. Le idee di Sant'Elia sulla città del futuro che ogni generazione avrebbe avuto il compito di realizzare si riflettevano nelle pagine di (titolo non casuale) Città futura (numero del 12 Febbraio 1917) in cui il pensatore sardo esaltava il ruolo dei giovani che "sono come veliti leggeri e animosi dell'armata proletaria che muove all'assalto della vecchia città imputridita e traballante per far sorgere dalle sue rovine la propria città". Sant'Elia e Gramsci si trovavano d'accordo nell'affermare l'esigenza moderna e modernista di creare, attorno ai vecchi centri storici, nuove città più adeguate ai bisogni delle recenti generazioni. Ecco allora sorgere città ipotetiche basate sulla razionalizzazione, su strutture mastodontiche proiettate geometricamente talvolta in modo ellittico o elicoidale, che annunziano alcuni aspetti dell'architettura fascista che ne avrebbe impoverito tuttavia i tratti salienti risolvendoli in linee rigide e squadrate. L'ideale di rinnovamento estetico santeliano si incontrava così con la visione del giovane Gramsci dello sviluppo di uno spazio urbano industriale aperto alla conquista delle masse e favorevole alla creazione di una cultura proletaria.
[41] Cfr. F.T. Marinetti, Manifesto del partito politico futurista, settembre 1918, ora in R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario (1883-1820), Torino, Einaudi, 1965, pp. 738-741
[42] Così E. Gentile, La politica in Marinetti, cit., p.426.
[43] Cfr. Teoria e invenzione futurista, cit., p. 425.
[44] Su ciò cfr. anche G. Lista, op. cit., p.57.
[45] Cfr. N. Zapponi, “La politica come espediente e come utopia. Marinetti e il partito politico futurista”, in F.T.Marinetti futurista, Napoli, 1977, pp. 230-231.
[46] Cfr. Erich Fromm, Il cuore dell'uomo. La sua disposizione al bene e al male, Roma, 1965, pp. 63-66.
[47] Cfr. la lettera di M. Carli a Marinetti dell'agosto del 1918 in E. Gentile, Il futurismo e la politica. Dal nazionalismo modernista al fascismo (1909-1920), in R. De Felice (ed.), Futurismo, cultura e politica, cit., pp. 123-124.
[48] Così anche G. Lista, op. cit., p.59.
[49] Sulla centralità della componente futurista nella genesi del fascismo, insesteva in modo particolare Benedetto Croce, Fatti politici ed interpretazioni storiche, in Cultura e vita morale. Intermezzi polemici, Bari, Laterza, 1926 (II ed. Raddop.), pp.265-271. Ma per l'importanza fondementale del futurismo nella nascita dell'ideologia fascista si veda anche Zeev Sternhell, Nascita dell'ideologia fascista, Milano, 2002, pp. 14-17 e 323-332.
[50] Si tratta di un documento accluso ad una lettera inviata da Marinetti a Settimelli, conservata presso la Fondazione Primo Conti di Fiesole, Fondo Settimelli.
[51] Cfr. la ricostruzione dell'episodio fatta da Marinetti, Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 450-451 e 498-560 e quella diversa di G. Arfè, Storia dell'Avanti (1896-1926), Milano-Roma, 1956, p.161.
[52] Cfr. F.T.Marinetti, Taccuini (1915-1921), Bologna, 1987, p. 409 (l'annotazione è del 24/3/1919).
[53] Cfr. F.T.Marinetti, Teoria e invenzione futurista, cit., p.354.
[54] Ivi, pp. 357-358.
[55] Ivi, p. 365.
[56] Ivi, p. 366.
[57] Cfr. E. Gentile, La politica di Marinetti, cit., p.427.
[58] Il titolo dell'articolo: Partiti d'avanguardia: se tentassimo di collaborare?
[59] Cfr. “Futurismo e socialismo”, Roma futurista (14/12/1919).
[60] Cfr. F.T. Marinetti, Teoria e invenzione futurista, cit., p. 513.
[61] Cfr. F.T. Marinetti, Taccuini, cit., p.487.
[62] Cfr. su ciò R. De Felice, Mussolini il fascista, I vol., La conquista del potere 1921-1925, Torino, Einaudi, p. 47 e E. Gentile, Il futurismo e la politica. Dal nazionalismo modernista al fascismo (1909-1920), cit., p.144.
[63] Cfr. F.T.Marinetti, Teoria e invenzione futurista, cit., p.483.
[64] "Il proletariato dei geniali al governo realizzerà il teatro gratuito per tutti(...)La musica regnerà sul mondo. Ogni piazza avrà la sua grande orchestra strumentale e vocale. Vi saranno così, dovunque, fontane di armonia che giorno e notte zampilleranno il genio musicale e fioriranno il cielo, per colorare, ingentilire, rinvigorire e rinfrescare il ritmo duro, buio, trito e convulso della vita quotidiana(...)Si alterneranno le squadre dei musicisti per centuplicare lo splendore dei giorni e la soavità delle notti". Ivi, p.485.
[65] Cfr. G. Lista, op.cit., p.67.
[66] Ivi, p. 65.
[67] Cfr. A. Gramsci, Lettera sul futurismo italiano, cit.
[68] Cfr.G. Lista, op.cit., pp. 78-79.
[69] Cfr. F.T.Marinetti, Futurismo e Fascismo, Foligno, 1924, pp. 222-226. Alcuni passaggi sono emblematici: "Io canto come un mozzo spensierato/ abbasso l'eguaglianza!/ abbasso la giustizia!/ abbasso la fraternità/ Sono sgualdrine, o Libertà,/ piantala e sali con me! (...) Io canto:/ Abbasso la democrazia!/ abbasso il suffragio universale!/ Abbasso la quantità!/ Sono sgualdrine, o Libertà,/ Piantale e sali con me!/ (...) Io canto:/ abbasso la politica!/ Abbasso il parlamento!/ Abbasso il comunismo!/ Sono sgualdrine, o Libertà,/ Piantale e sali con me!/". E il vento gli rispondeva: "Viva l'eleganza!/ Viva l'originalità!/ Viva l'esagerazione!/ (...) Viva la sproporzione/ Viva la qualità!/ Viva la poesia rara!/ (...) Gloria alle differenze! Viva la distinzione!/ (...) Essere tipico! Unico! Il più forte!/ Il più veloce! Il più colorato!/ Record di fuoco! Record di colore!/ Record d'entusiasmo!/". E così concludeva: "aumentate le ineguaglianze umane./ Scatenate dovunque e esasperate l'originalità individuale./ Differenziate valorizzate sproporzionate ogni cosa./ Imponete la varietà del lavoro/ Ad ogni uomo, ogni giorno un mestiere diverso./ Liberate i lavoratori dalla massacrante monotonia dell'identico lavoro grigio e dell'identica domenica vinosa./ L'umanità agonizza di quotidianismo eguagliatore/ L'inegualismo solo può, moltiplicando contrasti, chiaroscuri, volumi estro, calore, e colore, salvare l'Arte, l'Amore, la poesia, la Plastica, l'Architettura, la Musica, e l'indispensabile Piacere di Vivere/ Distruggete, annientate la politica, che opaca ogni corpo. E' una lebbra-colera-sifilide tenacissima!/ Isolate presto tutti gli infetti!/ Bruciate e seppellite le vecchie idee logore sudicie di Uguaglianza, Giustizia, Fraternità, Comunismo, Internazionalismo./ Imponete dovunque l'Inegualismo, per liberare ogni parte dal tutto opaco massiccio pesante!".
[70] Cfr. L. Cavalli, Il capo carismatico, Bologna, 1981, pp. 98, 99, 101.
[71] Cfr. Introduzione a Luciano Folgore - F.T. Marinetti, Carteggio futurista (a cura di F.Muzzioli), Roma, 1987.
[72] C. Russel parla di "poeti del tempo": Da Rimbaud ai postmoderni, Torino, 1989, pp. 78-81 e 102-114.
[73] Cfr. F.T.Marinetti, Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 310-311.
[74] E ciò nonostante che questo concetto trovi sistemazione, in Bergson, solo nel 1922.
[75] Cfr. “Fondazione e manifesto del futurismo”, Figaro, Parigi, 20 Febbraio 1909.
[76] In La demolizione, Marzo 1910.
[77] Cfr. Fondazione e manifesto del futurismo, cit.
[78] Cfr. Maurizio Calvesi, Il manifesto del futurismo e i pittori futuristi, in Arte moderna, vol. V, n°35, Milano, 1967, pp. 10 e ss.
Salvatore Cingari è professore associato di Storia delle dottrine politiche al Dipartimento di Culture Comparate dell'Università per Stranieri di Perugia. E' autore, fra l'altro, di tre monografie su Benedetto Croce: Il giovane Croce. Una biografia etico-politica, Rubbettino, 2000 (Premio Basilicata 2001); Alle origini del pensiero "civile" di Benedetto Croce. Modernismo e conservazione nei primi vent'anni dell'opera (1882-1902), Editoriale Scientifica, 2002; Benedetto Croce e la crisi della civiltà europea, Rubbettino 2003.